di Jonathan Tobin*
Le dimissioni del primo ministro dell'Autorità Palestinese (AP) Salam Fayyad rappresenta un momento cruciale nella storia del conflitto israelo-palestinese. La sua defenestrazione mette a nudo il collasso di quello che il New York Times ha definito il fayyadiso: la speranza che il nazionalismo palestinese fosse riorientato verso lo sviluppo e la coesistenza, anziché verso la violenza. Senza la foglia di fico della responsabilità che Fayyad forniva, l'idea che l'AP sia tutto all'infuori di un regime corrotto e compromesso dai legami con il terrorismo, suona falsa.
L'insuccesso di Fayyad di generare o un sostegno pubblico fra la sua gente del West Bank, o di usare il credito di cui godeva a livello internazionale per scavalcare il presidente dell'AP Mahmoud Abbas, risulta una tragedia per tutto il popolo palestinese. Il suo fallimento condanna loro a scegliere fra l'incompetenza dei quadri del Fatah, e la tirannia sanguinaria islamica di Hamas.
Fayyad ha sempre goduto del forte supporto sia degli Stati Uniti che di Iseaele, il quale malgrado la diffidenza nutrita nei confronti dell'AP ha visto egli come partner e interlocutore irrinunciabile. Il problema è che il partito di Abbas lo vedeva come ostacolo sia alle mire di Abbas per la politica egemonica nel West Bank, sia alla continuazione dei meccanismi di corruzione che ha consentito di deviare gli aiuti finanziari internazionali verso le tasche dei leader dell'OLP.
Senza Fayyad - o uno come lui - cade la speranza che il processo di pace conduca ad uno stato palestinese nel West Bank che conviva pacificamente con Israele e con tutti gli altri stati arabi confinanti, e non piuttosto ad una cleptocrazia gestita da terroristi. Si tratta non solo di una brutta notizia per i palestinesi, ma anche di una garanzia che gli accordi di pace finora sottoscritti non saranno rispettati. Questo enigma va al cuore delle motivazioni originarie che condussero nel 1993 agli Accordi di Oslo, dai quali nacque l'AP.
Shimon Peres concepì gli Accordi di Oslo come un sentiero che avrebbe condotto al "Nuovo Medio Oriente", in cui Israele e lo stato palestinese retto da Fayyad avrebbero creato un'entità politica simile al Benelux (negli intenti originari anche la Giordania sarebbe stata invitata a confederarsi, NdT). Yitzhak Rabin, tuttavia, pensò che consegnare i territori a Yasser Arafat avrebbe funzionato, perché i vecchi terroristi sarebbero stati disponibili ad impegnarsi a conseguire uno stato in parte dell'area, neutralizzando Hamas e altre formazioni terroristiche senza l'interferenza di una Suprema Corte o di gruppi che avrebbero impedito ad Israele misure di contenimento del terrorismo.
E' andata a finire che entrambi sono stati in errore. Le speranze di Peres circa l'AP sono state smentite. Ma al contempo Rabin sbagliava a pensare che uno stato palestinese gestito dai terroristi corrotti non sarebbe stato in antitesi con il concetto di "due stati per due popoli" che vivono l'uno fianco all'altro in pace. Tutto ciò è stato ampiamente dimostrato, prima dall'impiego del terrorismo da parte di Arafat, e poi da quanto successo a Gaza, dove uno stato palestinese indipendente non di nome ma di fatto nel concreto già esiste (Israele si è ritirato unilateralmente da Gaza nel 2005, nel 2006 sono state tenute libere elezioni che hanno visto l'affermazione di misure di Hamas, che l'anno successivo ha assunto pieno poteri, con un golpe che ha defenetrato - anche fisicamente - i partner e rivali di Al Fatah, NdT).
La tragedia di Fayyad deriva dal fatto che non solo sia Hamas che Fatah non vedevano l'ora di liberarsi di lui, ma che alla fine non godeva di consenso nemmeno fra gli stessi palestinesi. Fino a quando spargere sangue israeliano sarà il fattore principale che conferirà credibilità a qualunque movimento politico palestinese; persone come Fayyad non avranno alcuna prospettiva, a prescindere da quanto siano apprezzati dagli americani o dagli israeliani.
Il collasso dei suoi sforzi per cambiare la politica palestinese, rappresenta così un momento cruciale che dovrebbe segnalare al mondo di cessare di ignorare la realtà a favore delle illusioni.
* Fonte: New York Post
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