Il tempo scorre inesorabile, e il regime iraniano degli ayatollah si avvicina sempre più al "sogno" della bomba atomica: un incubo per il mondo occidentale e per la regione sottostante.
Le sanzioni economiche imposte all'Iran vedono il mondo diviso sulla loro applicazione, e nel frattempo paradossalmente agevolano Ahmadinejad in due modi: anzitutto favorendo una crescita delle quotazioni petrolifere, poiché una contrazione dell'offerta iraniana priva il mercato mondiale di una considerevole fonte. Il livello di pareggio è fissato a 80 dollari: quotazioni superiori producono entrate maggiori della spesa pubblica, qualora l'Iran dovesse riuscire a collocare comunque la sua produzione. Il mondo impatterebbe negativamente sulla leadership iraniana soltanto con quotazioni del greggio inferiori a questa soglia; non superiori.
In secondo luogo, l'applicazione delle sanzioni e l'attesa del loro concretizzarsi, fornisce prezioso tempo al regime degli ajatollah. Anziché avvicinare il momento di una soluzione decisa, lo allontana irrimediabilmente: difficile paventare missioni di distruzione delle installazioni nucleari, prima che le sanzioni incomincino a fare effetto.
Oltretutto ci sono forti dubbi circa l'efficacia di uno "strike". Il regime iraniano sta procedendo con sollecitudine allo spostamento delle installazioni nucleari nel sottosuolo. Il sito di arricchimento dell'uranio di Natanz è situato a 6 metri (25 piedi) di profondità, mentre l'aviazione israeliana è dotata di munizioni che penetrano un muro di cemento armato fino a 20 piedi. Gli Stati Uniti ammettono che le armi in loro possesso non sarebbero in grado di colpire tutte le attuali installazioni nucleari iraniane.
L'Occidente insomma comincia a recitare il mea culpa: la malevole miopia di El Baradei, quando a capo dell'Agenzia Internazionale dell'Energia ha rifiutato di ammettere la natura bellica della ricerca nucleare iraniana, e l'eccessiva indulgenza dell'Occidente, con l'assurda politica "delle mani tese", hanno fornito al regime di Ahmadinejad tempo utile per portare a termine la realizzazione di - forse - quattro bombe atomiche ad alto potenziale. Si stima che a metà anno il processo sarà completato, e l'Iran potrà schierare il suo arsenale nucleare. Minacciando l'unico stato verso il quale si manifesta quotidiana ostilità, e inducendo le altre potenze locali a correre ai ripari, dotandosi di analogo arsenale nucleare a scopo di deterrenza.
Nel frattempo l'unico stato disponibile a sobbarcarsi l'eventualità di una missione eroica quanto potenzialmente suicida - Israele - fronteggia il rischio di dolorose rappresaglie; ancora una volta, favorite dall'ottusità occidentale. Ieri un alto diplomatico italiano ha chiarito che qualora gli Hezbollah a sud del Libano (e nel governo di Beirut) dovessero aggredire le città settentrionali di Israele, in risposta ad un attacco di questi alle installazioni iraniane; l'esercito italiano non muoverà un dito. Bizzarra posizione, dal momento che missione dell'UNIFIL è proprio quella di disarmare l'organizzazione terroristica sciita, e di prevenirne nuovi attacchi nei confronti di Israele. Non è più agevole la posizione sul fronte meridionale, con Hamas rafforzata dalla vittoria schiacciante delle organizzazioni integralista islamiche nel vicino Egitto, con le forze democratiche e liberali invece annichilite.
Senza considerare che secondo gli esperti, un attacco ben riuscito alle postazioni nucleari iraniane riuscirebbe a rimandare di due, al massimo tre anni il conseguimento di una bomba atomica; non a prevenirlo del tutto. Un incubo che si fa sempre più concreto, e che rappresenta una concreta minaccia per la pace nel mondo da qui ai prossimi anni.
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