venerdì 25 novembre 2011

La lenta agonia dell'Autorità Palestinese


Succedono cose strane, in questo mondo. Ci sono territori in Cisgiordania contesi fra palestinesi e israeliani - circa il 3% del West Bank (l'area ad ovest del fiume Giordano). Territori non vitali per la costituzione di uno stato palestinese, ma la cui esistenza è continuamente denunciata dal governo di Ramallah come condizione la cui esistenza impedisce il dialogo con Gerusalemme.
Bizzarrro come l'Autorità Palestinese lamenti la presenza di israeliani in una porzione minuscola della Cisgiordania, e al tempo stesso lamenti il blocco dell'attività di riscossione dei tributi che lo stato israeliano effettua per conto dei palestinesi. Mancando di una struttuta amministrativa - malgrado i giganteschi finanziamenti ricevuti negli ultimi 18 anni - l'embrione dello stato palestinese ha ottenuto che questa attività fosse svolta da Gerusalemme, la quale ha ben accondisceso in ossequio agli Accordi di Oslo del 1993, che hanno previsto fra le altre cose la nascita dell'AP e la disponibilità dell'Occidente a finanziare generosamente questo processo.
Ma la scellerata decisione di Abu Mazen di chiedere il riconoscimento unilaterale all'ONU lo scorso mese di settembre ha sancito di fatto l'abrogazione di quegli accordi. Il leader palestinese, a capo di un Esecutivo di fatto scaduto da oltre tre anni e mai rinnovato per il timore di perdere le elezioni a vantaggio dei rivali di Hamas, si è consolato di recente con l'adesione all'UNESCO, agenzia ONU di stanza a Parigi e specializzata nella cancellazione delle tracce archeologiche ebraiche nel Vicino Oriente. Non sorprende che queste misure abbiano indotto il governo Nethanyahu a congelare i tributi riscossi e usualmente girati a Ramallah: circa 100 milioni di dollari al mese.
Ma questa cifra è irrisoria, di fronte all'ingente fabbisogno finanziario di Al Fatah, il partito che rappresenta l'Autorità Palestinese, e che non esita ad erogare 5000 dollari di bonus ai criminali rilasciati dalle carceri israeliane in cambio della liberazione del caporale Gilad Shalit, sequestrato nel 2006 da Hamas in territorio israeliano. La triste realtà è che la sciagurata decisione di Abu Mazen è stata censurata da tutto il mondo occidentale, che osserva con disappunto la soluzione di ripiego di accettare l'abbraccio mortale proprio dei rivali di Hamas, che amministrano Gaza dal 2007 dopo un sanguinoso colpo di stato con cui è stata esautorata proprio la fazione rivale. Stati Uniti, Canada, Australia e naturalmente Israele hanno cessato di erogare sovvenzioni; diversi stati arabi hanno ridotto i finanziamenti verso l'entità palestinese, e l'Unione Europea ha chiarito che verranno meno gli aiuti, se l'Autorità Palestinese accetterà di formare un governo unitario con una fazione che non risconosce Israele, non riconosce i trattati di pace precedentemente sottoscritti, e non accetta di rinunciare alla lotta armata.
E' notizia di oggi che l'incontro al Cairo fra gli emissari delle due fazioni palestinesi si è risolto in un nulla di fatto: l'accordo sottoscritto a maggio è rimasto lettera morta. Così, l'Autorità Palestinese, sforzo di buona (e dispendiosa) volontà per garantire al popolo palestinese uno stato, sta per chiudere i battenti per fallimento. Grazie all'ottusa insipienza della leadership palestinese.

martedì 22 novembre 2011

L'ex occupante ritorna in Cisgiordania


Il re di Giordania - lo stato che dal 1948 al 1967 ha occupato militarmente gli attuali territori palestinesi e i quartieri orientali di Gerusalemme - è in visita in questi giorni proprio a Ramallah, capitale del futuro (?) stato di Palestina. Il leader dell'ANP, arroccato a Ramallah dopo la sconfitta in seno alle Nazioni Unite, sta meditando di accettare la corte interessata della fazione rivale di Hamas, il cui leader Khaled Mashaal si incontrerà con il re Abdullah ad Amman nelle prossime settimane.
L'abbraccio fra Al Fatah e Hamas, oltre a radicalizzare ulteriormente la dirigenza palestinese, rimuovendo la parvenza di "moderazione" che vantava l'amministrazione di Abu Mazen, sancirà con ogni probabilità un ulteriore allontanamento di una prospettiva di pace. Non a caso l'amministrazione Obama e la comunità internazionale giudicano negativamente la possibilità di un governo unitario: non prima che siano accettate le tre fondamentali istanze del riconoscimento dei trattati precedentemente sottoscritti fra Israele e palestinesi, la rinuncia alla lotta armata e il riconoscimento dello stato di Israele.
Non sorprende che il sovrano giordano - purtroppo parente diretto ma lontano erede di quel re Hussein che coraggiosamente sottoscrisse gli accordi di pace con Israele, pur senza precondizioni o riconoscimenti territoriali di sorta - pressato dalla rivolta nella vicina Siria, appoggi il proposito palestinese di ottenere il riconoscimento internazionale in spregio agli Accordi di Oslo e addirittura con la pretesa di una capitale a Gerusalemme "Est". La visita a Ramallah, per la prima volta dopo 11 anni, allenta le pressioni interne, le scarica all'esterno, ma poco potrà per una soluzione definitiva del conflitto fra Israele e palestinesi.

lunedì 21 novembre 2011

Abu Mazen sempre più nelle spire di Hamas



Dopo il rifiuto della "road map" di pace proposta dal Quartetto in seguito all'insuccesso dell'iniziativa unilaterale alle Nazioni Unite, Abu Mazen si sta prevedibilmente appiattendo sulle posizioni radicali di Hamas, che governa la Striscia di Gaza dopo il colpo di stato successivo allo sgombero ordinato da Sharon nel 2005.
Hamas e Al Fatah (l'organizzazione da cui proviene Abu Mazen) si incontreranno nei prossimi giorni al Cairo, per dare seguito agli accordi di unificazione sottoscritti sei mesi fa, ma rimasti da allora lettera morta. La decisione unilaterale di chiedere il riconoscimento all'ONU, in spregio agli Accordi di Oslo del 1993 (che hanno fatto piovere a Ramallah massicci finanziamenti internazionali) ha provocato da parte di diversi paesi occidentali il blocco dei trasferimenti di denaro verso una Autorità Palestinese sempre più orientata verso il collasso; politico, prima che economico. Così, Abu Mazen sta facendo buon viso a cattiva sorte, convergendo verso un abbraccio nei confronti dei rivali di Gaza che sancirà il probabile esautoramento della leadership "moderata" in Cisgiordania.
Il radicalismo sarà ancor più esaperato dalla decisione della Jihad Islamica di correre alle prossime elezioni generali palestinesi, che si dovrebbero tenere nella prossima primavera, e che porteranno ad un ulteriore isolamento internazionale dei territori palestinesi.

venerdì 11 novembre 2011

E adesso per Abu Mazen si mette male




Il bluff di Abu Mazen non ha funzionato. Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU non ha raggiunto una maggioranza qualificata di 9 voti favorevoli su 15, necessaria per concedere la membership all'Autorità Palestinese. La richiesta sarebbe stata comunque cassata, poiché in caso di raggiungimento del quorum gli Stati Uniti avrebbero opposto il veto; collocandosi in una posizione che a detta dei palestinesi avrebbe messo a disagio la presidenza Obama.
Non è stato necessario esercitare il diritto di veto: non ci sarà alcun voto, poiché una sotto-commissione ha preso atto del fallimento dell'iniziativa. Che adesso rischia di ritorcersi pesantemente contro il leader dell'AP, il cui mandato peraltro, scaduto da oltre tre anni, non è stato ancora rinnovato in assenza di elezioni legislative, che a Ramallah non si tengono appunto dall'inizio del 2009. Il goffo tentativo di Abu Mazen - che ha scavalcato l'Assemblea Generale dell'ONU, dove non avrebbe avuto bisogno di una maggioranza qualificata, salvo ottenere lo status meno prestigioso di "osservatore" - segue la vittoria politica di Hamas, che gode di maggiore popolarità a Gaza dopo la liberazione di Gilad Shalit, sequestrato in Israele cinque anni fa e rilasciato in cambio della liberazione di oltre mille terroristi, in buona parte appartenenti proprio ad Al Fatah, il movimento politico di cui fa parte Abu Mazen.

Elezioni generali nei territori palestinesi sarebbero a questo punto un suicido per l'OLP, il movimento fondato da Arafat e che dopo gli Accordi di Pace di Oslo ha prodotto l'Autorità Palestinese, embrione del futuro stato. Alcuni ritengono che l'iniziativa di Abu Mazen potrebbe preludere all'estinzione dell'Autorità Palestinese, con Abu Mazen che di fatto "darebbe le chiavi" della Cisgiordania al governo israeliano, il quale peraltro ha amministrato efficacemente quest'area dal 1967 al 1993, con un incremento degli standard di vita per i suoi abitanti.
Il rammarico per l'ennesima occasione sfumata è forte: la leadership palestinese avrebbe potuto accogliere la proposta di pace del "Quartetto" (ONU, Stati Uniti, Europa e Russia), sottoscritta immediatamente dal governo di Gerusalemme. Ma i palestinesi ci hanno abituati a rispondere sempre di no; sempre e comunque, "a prescindere". E hanno prima indugiato, poi richiesto un nuovo blocco dell'attività edilizia in Israele, dopo un'analoga richiesta assecondata per dieci mesi lo scorso anno, poi addirittura avanzato pretese sui quartieri orientali di Gerusalemme.
L'arroganza di Abu Mazen ha danneggiato anche l'UNESCO, privata di importanti fonti di finanziamento dopo l'adesione palestinese. La buona notizia è che la rinuncia ad alcuni importanti assegni ha indotto gli amministratori dell'agenzia ONU di stanza a Parigi a trovare ben 35 miliardi di dollari di risparmi. Facile interrogarsi sull'opportunità delle spese sostenute prima di questo taglio.
Ma la buona volontà nella gestione delle proprie finanze non ha impedito all'UNESCO di rivolgere ancora una volta i suoi strali contro Israele. Il quotidiano Haaretz, da sempre ferocemente anti-governativo al punto da poter essere considerato filo-arabo (e spesso in aperta polemica con Gerusalemme a causa delle diffusione di notizie militari riservate) ha pubblicato una vignetta satirica in cui il Primo Ministro e il ministro della Difesa, in uniformi da combattimento, davano istruzioni all'esercito intento ad organizzare la distruzione delle armi nucleari iraniane. Nella vignetta Nethanyahu invitava l'aviazione a colpire le sedi dell'UNESCO a Ramallah di ritorno dalla missione.
Evidente l'intento polemico di Haaretz nei confronti del governo di Gerusalemme. Ma l'agenzia ONU ha ritenuto opportuno convocare l'ambasciatore israeliano per esprimere tutto il proprio disappunto. L'iniziativa ha suscitato ampia ilarità per l'atteggiamento grottesco dell'organizzazione parigina.

P.S.: Il Borghesino non sarà aggiornato per una diecina di giorni. Tornerà lunedì 21 novembre.

mercoledì 9 novembre 2011

Così va il mondo...


Purtroppo la rivelazione del rapporto dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA) non serve a niente. Certifica che l'Iran ha lavorato in questi anni alla bomba atomica, che dovrebbe essere pronta nel 2012. Ammette che Teheran ha raggiunto il punto di non ritorno: il regime produce uranio arricchito al 20%. Ciò permette di arrivare con relativa facilità al 90% negli stessi impianti.
Frustrazione e rammarico per aver prestato ascolto ad el Baradei (che ora da candidato alla presidenza dell'Egitto attacca Israele), quando per dodici anni è stato il mite direttore dell'AIEA, sostenendo la natura civile del nucleare iraniano; alla Francia, che tramite Areva - quella che doveva costruire le centrali nucleari italiane - forniva tecnologia e mezzi all'Iran, e che ha confermato le sue simpatie per Gerusalemme votando a favore dell'ingresso della palestina nell'UNESCO; e alla Russia, i cui scienziati hanno lavorato attivamente al progetto di Ahmadinejad, e che ora manifesta minaccioso dissenso all'idea di un attacco agli impianti nucleari iraniani che appare una mossa drammaticamente suicida. Come in passato, il lavoro sporca l'Occidente lo lascia ad Israele. Ma questa volta non bastano alcuni F16 a rimuovere la minaccia di un incubo: la bomba atomica in mano agli ayatollah.

L'Iran nelle ultime ore si dice pronto ad avviare negoziati con il resto del mondo sulla questione nucleare. Un modo per guadagnare ancora un po' di tempo che qualche ingenuo sicuramente si berrà. Facile prevedere che andrà come le altre volte. Con la bomba atomica in mano ad Ahmadinejad che diventerà realtà fra sei mesi. Il Mondo è avvisato, ma ancora una volta si volta dall'altra parte, incapace di assumersi le proprie responsabilità. Un atteggiamento deplorevole che ricorda i proclami del 1939: «vale la pena morire per Danzica?»

E a proposito: Oggi ricorre la "notte dei cristalli": nella notte fra il 9 e il 10 novembre 1938 i negozi degli ebrei in Germania furono distrutti e dati alle fiamme, le sinagoghe furono bruciate e gli ebrei furono uccisi, arrestati e condotti nei campi di concrentramento. Questo evento fu denunciato dai giornali dell'epoca, ma ciò non impedì a nazisti pochi anni dopo di praticare la Soluzione Finale.

Difficile contare questa volta su un pieno appoggio degli Stati Uniti. La politica estera di Obama si è rivelata sotto molti aspetti (non tutti, ma molti) fallimentare:

- ha teso la mano al regime iraniano, e Teheran tempo sei mesi si doterà di quattro bombe atomiche;
- contro l'evidenza ha mantenuto buoni rapporti con il regime siriano, e Assad ha trucidato 3500 persone;
- sorvola sull'oltranzismo turco, ed Erdogan si avvicina sempre più alla Siria, modificando gli aerei forniti dagli USA in modo che possano colpire i suoi alleati;
- balbetta frasi possibiliste nei confronti dei palestinesi, e quelli lo prendono alla lettera e mandano al macero gli Accordi di Pace di Oslo del 1993;
- pronuncia un discorso male inteso al Cairo, e favorisce il rovesciamento di un regime filo-occidentale a favore degli integralisti islamici dei Fratelli Musulmani;
- scatena una guerra contro la Libia, armando i rivoltosi (si dice) provenienti da Al Qaeda, e favorisce l'instaurazione di una polveriera a due passi da casa nostra;
- si compiace della primavera araba inaugurata in Tunisia, e osserva la vittoria di un partito filo-islamico che proclama la shaaria, e indigna una comunista anticapitalista sfegatata come la Sgrena.



E non parliamo dei risultati della politica economica, che stanno facendo rimpiangere a molti convinti sostenitori della prima ora la presidenza amministrazione: quando Bush ha lasciato (dopo 13 mesi di recessione), il tasso di disoccupazione era del 7.2%. Oggi è del 9.0%, nonostante un boom della spesa pubblica; rispetto ad allora, ci sono tre milioni di occupati in meno, e un numero ancora più elevato di sotto-occupati e lavoratori part-time loro malgrado. Il bilancio dello stato era in ordine: il deficit era del 4.8%; oggi è dell'8.5%;
il debito federale era pari al 76% del PIL; oggi raggiunge il 100%, e ha fatto perdere agli USA la "tripla A".

L'unica buona notizia del giorno proviene da New York: è ormai appurato che il Consiglio di Sicurezza dell'ONU rigetterà la richiesta di Abu Mazen di membership alle Nazioni Unite. Non è stato raggiunto il quorum di 9 voti su 15, e gli Stati Uniti non dovranno opporre il loro diritto di veto. Rimane l'oltraggio dell'adesione concordata dall'UNESCO, ma il popolo palestinese non sta meglio di prima. E la dirigenza di Abu Mazen è sempre più traballante.
Ci si mette anche Ankara, che sostiene con maggiore convinzione la dirigenza di Hamas. Erdogan ha appena staccato un assegno da 2 milioni di dollari a favore di Ismail Haniyeh, "primo ministro" di Gaza. Il governo turco e le organizzazioni private - come la famigerata IHH, affiliata ad Al Qaeda e organizzatrice del tentativo di forzatura del blocco navale al largo delle coste di Gaza, versano annualmente 48 milioni di dollari al governo di Hamas. Non a caso a Gaza sempre più spesso si vedono sventolare le bandiere turche e le effigi di Erdogan.

martedì 8 novembre 2011

Una proposta non così tanto assurda

dal sito della Comunità Ebraica di Roma


Mordechai Kedar è uno degli studiosi israeliani più esperti di mondo arabo. Una sua intervista in arabo – lingua che conosce come l’ebraico – lo fece conoscere agli spettatori di Al Jazeera in tutto il mondo qualche anno fa. Era in diretta, Kedar affermò in tono deciso che Gerusalemme non era mai nominata nemmeno una volta nel Corano, lasciando furente il suo interlocutore.

Ne venne fuori quasi una rissa, vinta da Kedar ai punti. Nei suoi ultimi articoli sostiene una tesi sorprendente, comunque contro corrente.

Israele dovrebbe interrompere ogni contatto con l’Anp di Abu Mazen, soprattutto dopo le ultime iniziative Onu, l’autoproclamazione dello Stato di Palestina e il riconoscimento dell’Unesco, che aprirà un processo di appropriazione della storia ebraica di Israele da parte dei palestinesi, delegittimante a livello internazionale, in un mondo dove le menzogne sullo Stato ebraico attecchiscono come sappiamo. E’ con Hamas che Israele deve trattare, cominciando da subito con il suo riconoscimento quale Stato Palestinese.

Con questa mossa, dice Kedar, si ottengono tre risultati.

1) L’Anp scompare quale partner di una pace che si è rivelata non solo illusoria, ma pericolosa. La mano passa a Gaza, che diventa, dopo il riconoscimento, uno Stato, con ciò che comporta.

2) Dopo Israele, Gaza verrà riconosciuto dalla comunità internazionale, come potrebbero rifiutarsi di riconoscere uno Stato palestinese?

3) Diventato uno Stato regolare, avrà anche un esercito regolare, niente più ‘miliziani’, ‘attivisti’, ‘salafiti’, saranno soldati in divisa, se ci saranno attacchi, seguirà una risposta regolare da parte di Israele, tutto il mondo vedrà che si tratta di difesa. Hamas sarà costretto a fare i conti con la realtà. Qualcuno obietterà che sarà nato un altro Stato terrorista, aggiunge Kedar, è verò, ma sempre uno Stato, che avrà dei doveri verso i suoi cittadini, non è detto che continuerà come ha fatto finora. In ogni caso terminerà l’ambiguità con l’Anp, la cui base ideologica è identica a quella di Hamas con però il vantaggio di potersi presentare come ‘moderato’ di fronte all’opinione pubblica internazionale.

Una proposta di non facile realizzazione, ne conviene anche Kedar, ma che potrebbe iniziare un grande cambiamento nella regione, con una iniziativa spiazzante di Israele di grande portata.

Continuano gli attacchi dalla Striscia di Gaza



Continuano a piovere missili e razzi dalla Striscia di Gaza verso Israele. Domenica un lavoratore straniero è stato ferito nei pressi di Ashkelon. Sono circa 50 i razzi sparati dai terroristi palestinesi nell'ultima settimana.
Il governo provvisorio egiziano sta facendo pressioni verso Hamas affinché cessino gli attacchi. Il Cairo si vuole legittimare come interlocutore affidabile agli occhi dell'Occidente, ma fa sempre più fatica a dissuadere il governo di Gerusalemme dal valutare provvedimenti drastici nel momento in cui la promessa di "cessate il fuoco" da parte dei palestinesi viene sistematicamente disattesa. E' vero che la maggior parte degli attacchi proviene da gruppi terroristici estremisti non direttamente riconducibili ad Hamas: questo lo sa anche il governo Nethanyahu. Ma è altresì vero che nulla accade a Gaza che non sia in qualche modo avallato dal governo di Hamas instauratosi con il colpo di stato successivo allo sgombero ordinato da Sharon nel 2005.
Dopo oltre sei anni, l'esercito israeliano sarebbe tecnicamente pronto per rimettere piede nella Striscia. Una misura che appare inevitabile se continueranno gli attacchi pressoché quotidiani nei confronti delle città meridionali di Israele. Hamas subisce da parte delle organizzazioni rivali palestinesi (i salafiti e la Jihad islamica; quest'ultima accreditata di ben 8000 uomini, armati, addestrati e finanziati dall'Iran) lo stesso trattamento da esso riservato agli uomini di Al Fatah dopo le prime e ultime elezioni a Gaza di gennaio 2006: uno scavalcamento nell'estremismo di cui però stanno facendo le spese le città israeliane meridionali. Fino a quando morte, feriti, traumi e distruzioni potranno essere tollerati?

domenica 6 novembre 2011

"Quello degli arabi è stato un errore"





Alcuni ignorano che l'ONU alla fine del 1947 divise il mandato britannico palestinese in due stati: uno stato arabo e uno stato ebraico. Gli ebrei accettarono, e fu fondato Israele. Gli arabi rifiutatono, e scatenarono immediatamente una guerra contro il nuovo stato. Una delle tante dei decenni successivi. Ad oggi, esistono trattati di pace soltanto con Giordania ed Egitto (in discussione, quest'ultimo, dopo gli sconvolgimenti apportati dalla "primavera araba").

Oggi, dopo 63 anni, Abu Mazen, leader dei palestinesi, finalmente riconosce che fu un errore non accettare quella partizione. Per una volta, siamo tutti d'accordo: sarebbero vissuti in santa pace e non ci sarebbero state guerre fra israeliani e palestinesi.
Speriamo che la lezione della storia sia stata imparata. Ne dubito...

Settimana cruciale al Consiglio di Sicurezza dell'ONU



La domanda di membership da parte dell'Autorità Palestinese alle Nazioni Unite compirà un significativo passo alla fine della prossima settimana. Venerdì infatti si riunisce una sotto-commissione, chiamata a fornire una risposta alla richiesta formulata da Abu Mazen a settembre.
Nel frattempo la Francia ha reso noto che si asterrà. Nell'ambito del Consiglio di Sicurezza dell'ONU (UNSC) un'astensione equivale ad un voto contrario, e ciò rende improbabile il raggiungimento del quorum di 9 voti su 15. Oltre a Parigi, anche Washington si pronuncerà contro, senza far valere il diritto di veto. Germania, Portogallo e Regno Unito sono gli altri stati europei che avverseranno il gesto unilaterale di Abu Mazen, assieme alla Colombia. I paesi del BRICS si pronunceranno invece a favore, insieme al Libano, mentre è incerta la posizione di Nigeria, Gabon e Bosnia-Erzegovina.

L'Autorità Palestinese si sta preparando alla possibilità di un voto sfavorevole. Muhammad Shtayyeh, esponente di Al Fatah, lascia intendere che Abu Mazen potrebbe in risposta sciogliere l'AP e formare un governo unitario con i fondamentalisti islamici di Hamas, radicalizzando il governo palestinese.

venerdì 4 novembre 2011

Immagini drammatiche della crisi umanitaria a Gaza



Di fronte a queste immagini, la tragedia del Darfur, lo sterminio sistematico e quotidiano dei siriani da parte di Assad, la condizione di assoluta sottomissione della donna nei paesi arabi (persino Luciana Sgrena - sì, proprio lei - sul manifesto riconosce che gli estremisti islamici stanno prendendo il sopravvento in Tunisia, cancellando ogni basilare diritto dell donne), l'eliminazione della problematica presenza degli omosessuali in Iran proclamata da Ahmadinejad, che ora può occuparsi indisturbato della bomba atomica iraniana; tutte queste cose e tante altre, insomma, passano in secondo piano.

Nel frattempo due imbarcazioni sono partite dalla Turchia alla volta di Gaza, con l'evidente intento di forzare il blocco navale israeliano al largo delle coste, che anche le Nazioni Unite hanno riconosciuto essere pienamente legittimo.
Gli Stati Uniti hanno contattato il governo turco, che ha fornito rassicurazioni: non saranno inviate navi da guerra a minaccioso supporto delle due navi, contenenti 27 militanti provenienti da Canada, Australia, Irlanda e Stati Uniti, oltre ad una ridotta quantità di farmaci di dubbia utilità. Ankara concorda sul fatto che non sarebbe una buona idea contribuire ad aumentare la tensione nell'area. D'altro canto, sarebbe grottesco mostrare i muscoli ad Israele, nel momento in cui un corposo contingente dei suoi cittadini continua a scavare fra le macerie del terremoto che ha funestato la Turchia pochi giorni fa, alla ricerca dei corpi delle vittime della sciagura.

giovedì 3 novembre 2011

Che gran cosa, la cultura



"Ora che la palestina è entrata nell'UNESCO, tutto il mondo potrà apprezzare la cultura palestinese".
E nel frattempo quel giornale umoristico noto come "Repubblica" ci fa sapere che ad Ashkelon muore un "colono", colpito da uno dei 50 missili Grad sparati da Gaza negli ultimi cinque giorni.
Colono?!?!? un abitante di una città israeliana al 100%, da sempre, adesso non è nemmeno più cittadino a tutti gli effetti?!?!!
Possibile che a La Repubblica non conoscano la geografia?
O per compiacere qualche lettore, e strapparne qualche altro che indossa la kefiah anche per andare a dormire, è disposta in malafede a questi grotteschi strafalcioni?

Chiamali fessi, gli arabi israeliani...



Secondo un recente sondaggio, condotto fra i 300 mila arabi abitanti a Gerusalemme, il 42% si sposterebbe in Israele se i quartieri orientali dell'attuale capitale fossero trasferiti ad un futuro stato palestinese, e il 39% dichiara di preferire nel caso un passaporto israeliano ad uno palestinese.
Il dato è notevole, tenuto conto che un sondaggio simile, condotto fra la popolazione ebraica, difficilmente farebbe registrare percentuali di adesione lontane dallo zero ad un futuro stato palestinese. Alla fine, per gli arabi, Israele è il miglior posto dove vivere in Medio Oriente. Basterebbe chiederlo ai palestinesi che hanno subito la sventura di conoscere lo sgombero israeliano da Gaza di sei anni fa, e l'amministrazione di Hamas succeduta dopo le elezioni del 2006 e il colpo di stato dell'organizzazione terroristica palestinese dell'anno successivo.