venerdì 25 novembre 2011

La lenta agonia dell'Autorità Palestinese


Succedono cose strane, in questo mondo. Ci sono territori in Cisgiordania contesi fra palestinesi e israeliani - circa il 3% del West Bank (l'area ad ovest del fiume Giordano). Territori non vitali per la costituzione di uno stato palestinese, ma la cui esistenza è continuamente denunciata dal governo di Ramallah come condizione la cui esistenza impedisce il dialogo con Gerusalemme.
Bizzarrro come l'Autorità Palestinese lamenti la presenza di israeliani in una porzione minuscola della Cisgiordania, e al tempo stesso lamenti il blocco dell'attività di riscossione dei tributi che lo stato israeliano effettua per conto dei palestinesi. Mancando di una struttuta amministrativa - malgrado i giganteschi finanziamenti ricevuti negli ultimi 18 anni - l'embrione dello stato palestinese ha ottenuto che questa attività fosse svolta da Gerusalemme, la quale ha ben accondisceso in ossequio agli Accordi di Oslo del 1993, che hanno previsto fra le altre cose la nascita dell'AP e la disponibilità dell'Occidente a finanziare generosamente questo processo.
Ma la scellerata decisione di Abu Mazen di chiedere il riconoscimento unilaterale all'ONU lo scorso mese di settembre ha sancito di fatto l'abrogazione di quegli accordi. Il leader palestinese, a capo di un Esecutivo di fatto scaduto da oltre tre anni e mai rinnovato per il timore di perdere le elezioni a vantaggio dei rivali di Hamas, si è consolato di recente con l'adesione all'UNESCO, agenzia ONU di stanza a Parigi e specializzata nella cancellazione delle tracce archeologiche ebraiche nel Vicino Oriente. Non sorprende che queste misure abbiano indotto il governo Nethanyahu a congelare i tributi riscossi e usualmente girati a Ramallah: circa 100 milioni di dollari al mese.
Ma questa cifra è irrisoria, di fronte all'ingente fabbisogno finanziario di Al Fatah, il partito che rappresenta l'Autorità Palestinese, e che non esita ad erogare 5000 dollari di bonus ai criminali rilasciati dalle carceri israeliane in cambio della liberazione del caporale Gilad Shalit, sequestrato nel 2006 da Hamas in territorio israeliano. La triste realtà è che la sciagurata decisione di Abu Mazen è stata censurata da tutto il mondo occidentale, che osserva con disappunto la soluzione di ripiego di accettare l'abbraccio mortale proprio dei rivali di Hamas, che amministrano Gaza dal 2007 dopo un sanguinoso colpo di stato con cui è stata esautorata proprio la fazione rivale. Stati Uniti, Canada, Australia e naturalmente Israele hanno cessato di erogare sovvenzioni; diversi stati arabi hanno ridotto i finanziamenti verso l'entità palestinese, e l'Unione Europea ha chiarito che verranno meno gli aiuti, se l'Autorità Palestinese accetterà di formare un governo unitario con una fazione che non risconosce Israele, non riconosce i trattati di pace precedentemente sottoscritti, e non accetta di rinunciare alla lotta armata.
E' notizia di oggi che l'incontro al Cairo fra gli emissari delle due fazioni palestinesi si è risolto in un nulla di fatto: l'accordo sottoscritto a maggio è rimasto lettera morta. Così, l'Autorità Palestinese, sforzo di buona (e dispendiosa) volontà per garantire al popolo palestinese uno stato, sta per chiudere i battenti per fallimento. Grazie all'ottusa insipienza della leadership palestinese.

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