mercoledì 30 novembre 2016

L'improbabile "diritto al ritorno" millantato dai palestinesi

Famiglia ebrea residente in Iran nel 1880 circa

Secondo le Nazioni Unite, nel 1948 si contavano circa 710 mila arabi che lasciarono il neonato Israele o furono indotti a farlo in conseguenza dello scoppio della Guerra di Indipendenza (seguita all'attacco degli stati arabi che rifiutarono la risoluzione ONU che dava vita a due stati - uno ebraico e uno arabo - in luogo della Palestina mandataria britannica, NdT). All'epoca - siamo immediatamente dopo la cessazione delle ostilità del secondo conflitto mondiale, c'erano circa 50 milioni di rifugiati in tutto il mondo. Ma tutti, nel tempo, trovarono una nuova dimora. Al contrario la questione palestinese, grazie al contributo onusiano, è peggiorato nel tempo, e oggi si calcolano ben 5 milioni di palestinesi che rivendicano lo stato di rifugiato.
Nel 1949 fu persino istituita dall'ONU una apposita agenzia, l'UNRWA, con lo scopo di trattare la questione sottraendola alla responsabilità dell'UNHCR, che si occupò dei rifugiati di tutto il mondo. Secondo lo storico Itamar Tzur, l'UNRWA fu istituita perché nessuna nazione al mondo - in primis gli stati arabi, NdT - era disposto a prendersi i profughi palestinesi, e perché a molti faceva comodo utilizzarne la condizione di rifugiato senza stato per gettare biasimo su Israele. È il caso di ricordare che all'epoca fu approvata una risoluzione, la 174, che disciplinava la possibilità per gli arabi (all'epoca non erano ancora chiamati palestinesi, NdT. All'epoca per "palestinesi" si intendevano gli ebrei che vivevano in Palestina) che lo desiderassero, di tornare nelle loro case, vivendo in pace con i loro vicini. Ma gli stati arabi rigettarono anche questa risoluzione, perché implicava il riconoscimento dello Stato di Israele.

«Milioni di rifugiati hanno trovato sistemazione nel Dopoguerra, e nessuno di essi si sogna minimamente di tornare al luogo da dove originariamente proveniva. Tranne i palestinesi, a cui è stato promesso di tutto, e che nel frattempo hanno beneficiato del più consistente volume di donazioni finanziarie fra tutti i profughi degli ultimi settant'anni», rileva Tzur, secondo il quale la soluzione passa necessariamente dal riconoscimento di ciò che all'epoca avvenne: «dobbiamo tenere presente che la "nakba" (disastro), lamentata dagli arabi e poi dai palestinesi, è eclissata dalla nakba perpetrata ai danni degli ebrei in fuga dopo il 1948 dagli stati arabi e musulmani». La consapevolezza deve partire dagli stessi israeliani.
Lo storico si sofferma sul trattamento delle espulsioni da altri stati: «dobbiamo esaminare i precedenti storici. Nell'ultimo secolo, ci sono state deportazioni di massa in tutto il mondo. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, da 12 a 17 milioni di tedeschi furono espulsi dall'Europa orientale verso la Germania. Oltre 14 milioni furono le espulsioni dal Pakistan all'India, e viceversa. Negli anni Settanta quasi 200 mila greci furono espulsi da Cipro. Negli anni Ottanta 300 mila musulmani furono costretti a lasciare Bulgaria e Turchia. Persino negli anni Novanta ci sono state deportazioni di massa: il Kuwait ha espulso circa 200 mila palestinesi nel 1990, e questa è soltanto la punta dell'iceberg.
Durante gli anni Cinquanta e Sessanta, il neonato stato moderno di Israele ha assorbito circa 800.000 rifugiati ebrei espulsi forzatamente dagli stati arabi in cui le comunità ebraiche risiedevano da secoli, privati di ogni forma di proprietà, senza alcun compenso o indennizzo. Nel frattempo, i 700.000 palestinesi sono diventati 5 milioni, e ora bussano insistentemente alle porte di Israele, nella vana speranza che un improbabile "diritto al ritorno" sia loro riconosciuto».

Fonte: Arutz Sheva.

1 commento:

  1. Mi permetto di segnalare questo importante articolo
    http://israeledossier.altervista.org/italiano/E%20il%20mondo%20mente.htm

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