martedì 10 novembre 2015

Quelle volte in cui siamo andati vicini alla nascita di uno stato palestinese...

Come una volta ebbe a dire il leggendario negoziatore israeliano Abba Eban a proposito delle relazioni fra lo stato ebraico e il mondo arabo: «gli arabi non perdono mai l'opportunità di perdere un'opportunità»; e in effetti si contano diverse occasioni in cui la leadership palestinese ha dato un calcio all'opportunità di pervenire finalmente ad uno stato.
Perché i palestinesi si rifiutano di intavolare negoziati di pace? perché una pace concordata implicherebbe la fine del conflitto. I palestinesi invece vogliono uno stato che comporti la continuazione del conflitto, ma da posizioni di forza: ecco perché insistono in questo preteso "diritto al ritorno".
Al margine dovrebbe essere notato come una eventuale dichiarazione statuale unilaterale da parte dei palestinesi, o il portare la questione alle Nazioni Unite, costituirebbe una grave violazione degli Accordi di Oslo sottoscritti fra OLP e Israele; che esplicitamente escludono questa scappatoia, nonché il ricorso a terze parti. Questi accordi fra l'altro sono stati sottoscritti con il patrocinio di Stati Uniti, Russia, Norvegia e Unione Europea; per cui se qualcuno di questi stati dovesse contravvenire agli accordi supremamente controfirmati, solleverebbero forti dubbi circa la credibilità della loro firma.
Si contano almeno tre volte in cui i palestinesi hanno respinto la prospettiva di pervenire ad uno stato; in due casi in tempi recenti.

1. Nel 2008 dopo estenuanti discussioni, l'allora primo ministro israeliano Olmert si incontrò con il presidente palestinese Mahmoud Abbas e gli presentò un dettagliato piano di pace. Il piano di Olmert prevedeva l'annessione dei principali insediamenti israeliani e in cambio offriva equivalente territorio ai palestinesi, oltre ad una parte di Gerusalemme.
Numerosi insediamenti come Ofra, Elon Moreh, Beit El e Kiryat Arba sarebbero stati evacuati. Decine di migliaia di coloni sarebbero stati sradicati. Olmert dichiarò che fu raggiunta un'intesa di massima con Abbas sulla questione dei profughi e del "diritto al ritorno" invocato dai palestinesi.
Il primo ministro di Gerusalemme ricostruì buona parte della vicenda in un'intervista concessa al quotidiano "Australian":

«Dalla fine del 2006 alla fine del 2008 penso di essermi incontrato con Abu Mazen più ripetutamente di qualunque altro leader israeliano con un leader arabo: ho contato in tutto 35 volte. Si è trattato di negoziati febbrili e fondati. Il 16 settembre 2008, gli ho presentato un piano dettagliato, basato su alcuni principi; fra cui: la soluzione al conflitto sarebbe stata territoriale, con un ritorno ai confini precedenti il 1967 con alcune modifiche su ambo i fronti. Israele avrebbe conservato i territori del West Bank ove si sono registrati i più consistenti incrementi demografici negli ultimi quarant'anni.
Inoltre, sarebbe stato affrontato il problema della sicurezza (NdR: Olmert afferma di aver mostrato ad Abbas una mappa, che contempla tutti questi progetti. Abbas chiese di trattenere la mappa, e Olmert acconsentì, in modo che entrambi l'avrebbero sottoscritta. Dal punto di vista di Olmert, si trattava di un punto di arrivo, non di un punto di partenza. Ma Abbas non si poteva impegnare: difatti dichiarò che si sarebbe riaffacciato con i suoi consiglieri il giorno successivo).
Abbas mi promise che sarebbe tornato il giorno dopo con i suoi consiglieri. Ma dopo 24 ore Saab Erekat (il capo negoziatore dell'OLP, NdT) telefonò ai miei consiglieri e accampò una scusa, dicendo che erano attesi ad Amman, e che si sarebbero fatti vivi la settimana successiva. Non li abbiamo visti più» (intervista concessa il 28 novembre 2009).

Non si tratta soltanto della parola di Olmert. Abbas, in un'intervista al Washington Post, conferma la versione di Olmert che di fatto respinse:

«Nel nostro incontro di mercoledì, Abbas riconobbe che Olmert gli propose una mappa che prevedeva uno stato palestinese sul 97% del West Bank, sebbene lamentasse che il leader israeliano si rifiutò di consegnargli una copia del piano. E confermò che Olmert aveva accettato il principio del "diritto al ritorno" dei discendenti dei rifugiati palestinesi del 1948; qualcosa che nessun altro leader israeliano aveva precedentemente contemplato. Il piano di pace delineato da Olmert era di gran lunga migliore di quelli redatti sotto la presidenza Bush o Clinton; era pressoché impossibile immaginare qualcosa di più allettante. Ma Abbas lo rifiutò: "le distanze restano notevoli", abbozzò» (29 maggio 2009).

Ha'aretz pubblicò la mappa di Olmert, che mostrava uno stato palestinese nel West Bank e a Gaza con un corridoio che le collegava. La mappa, che mostrava i territori israeliani che sarebbero stati ceduti ai palestinesi in cambio della annessione di alcuni insediamenti israeliani nel West Bank, è riprodotta qui in basso:


2. Nell'estate del 2000 il presidente americano Bill Clinton ospitò a Camp David febbrili negoziati di pace fra il leader palestinese Yasser Arafat e il primo ministro israeliano Ehud Barak. La trattativa sarebbe sfociata in un piano di pace articolato noto come "I Parametri Clinton", abbastanza simile alla proposta Olmert, anche se non così dettagliata.
Malgrado i consistenti sacrifici richiesti ad Israele, Gerusalemme accettò la proposta di Clinton, mentre Arafat la respinse e, tornato a casa, lanciò una nuova campagna terroristica contro la popolazione civile israeliana.
Nonostante le violenze, Ehud Barak continuò a negoziare fino alla fine del suo mandato, e ciò condusse alla "Proposta di Taba" che seguiva la scia del piano di pace redatto sotto l'amministrazione Clinton. Barak offrì ai palestinesi tutta la Striscia di Gaza e quasi tutto il West Bank, il disimpegno di Israele dal controllo dei confini con la Giordania e dell'adiacente Valle del Giordano, una misurata annessione dei territori circostanti gli insediamenti ebraici, compensata con la cessione di territorio israeliano ai palestinesi. Aggiunse il negoziatore americano Dennis Ross a Fox News:

«il West Bank sarebbe stato collegato a Gaza con un'autostrada sopraelevata, onde assicurarsi che per i palestinesi ci sarebbe stato non solo un passaggio sicuro sul territorio israeliano, ma anche un passaggio gratuito» (Fox News, 21 aprile 2002).

Secondo l'ambasciatore Ross, i negoziatori palestinesi fecero pressioni su Arafat affinché accettasse la proposta, ma egli rifiutò. A proposito della domanda dell'intervistatore sul perché Arafat respingesse queste soluzioni, Ross replicò:

«perché fondamentalmente non credo che fosse nelle condizioni di porre fine al conflitto. Noi invece avevamo un obiettivo finale, e quell'obiettivo era la cessazione definitiva delle ostilità.
Arafat aveva dedicato tutta l'esistenza allo scontro e ad una "causa". Tutto ciò che aveva fatto come leader dei palestinesi, lasciava sempre un'opzione praticabile, senza porte chiuse. Non appena si arrivava al dunque, chiudeva quella porta. Porre fine al conflitto equivaleva a porre fine politica a se' stesso».

Questa è la mappa di Taba proposta da Israele, e ancora una volta respinta dai palestinesi:


3. Nel 1947 fu approvata dalle Nazioni Unite la Risoluzione 181, che prevedeva l'istituzione di uno stato ebraico e di uno stato arabo sui territori in precedenza amministrati dal Regno Unito in Palestina. Tutti gli stati arabi si opposero al piano di partizione, votando contro, e promettendo guerra affinché esso non fosse implementato. Viceversa l'Agenzia Ebraica, che rappresentava le comunità ebraiche che abitavano nei territori del Mandato, approvarono il piano.
Gli arabi mantennero la parola e lanciarono una guerra contro gli ebrei di Palestina, violando sia la Risoluzione 181 che lo statuto dell'ONU. Ma, a sorpresa, gli ebrei riuscirono a prevalere e a vincere la guerra.
Resta l'aspetto non secondario per cui avessero gli arabi accettato la partizione del 1948 e non violato le regole della convivenza internazionale attaccando Israele, oggi esisterebbe uno stato palestinese da 63 anni, in pace vicino a quello israeliano, e non ci sarebbe neanche un rifugiato palestinese. Ma al pari di oggi, sembra che anche nel 1948 la parte araba sembrava preoccupata più di opporsi allo stato ebraico, che non di creare uno stato palestinese.

A parte questi tre episodi, ci sono state altre opportunità sfumate: come gli Accordi di Camp David del 1978 fra Egitto e Israele, Il presidente egiziano Sadat implorò l'OLP e Arafat ad accettare i termini della negoziazione con Gerusalemme, e ad impegnarsi in negoziati paralleli con Israele. Anche il presidente Carter esortò la parte moderata dei palestinesi a fare un passo in avanti, unendosi ai negoziati del Cairo. Sfortunatamente però Arafat non fu dello stesso avviso e anzi fece di tutto per far mancare il terreno da sotto ai piedi di Sadat e per sabotare gli Accordi di Camp David, al punto che spuntarono killer al soldo dell'OLP, incaricati di uccidere i palestinesi del West Bank che sostenevano le posizioni di Sadat.
È ragionevole ritenere che il popolo palestinese abbia maturato una certa frustrazione, ma l'obiettivo degli strali non dovrebbe essere Israele, bensì i propri leader, che hanno gettato alle ortiche una opportunità dopo l'altro per creare uno stato palestinese per il quale, a parole, si battono.

Fonte: Palestinians Rejected Statehood Three Times, Claim Frustration -- with Israel.
su CAMERA.

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