domenica 21 agosto 2016

Le dieci principali calunnie nei confronti di Israele

di Alan Baker*

Ogni giorno Israele è bersagliato da risoluzioni a senso unico, dichiarazioni di principio, "piani di pace" e raccomandazioni formulate da governi, organizzazioni internazionali, capi di stato e di governo, sedicenti esperti e soggetti di vario tipo della comunità internazionale.
La maggior parte di queste assunzioni, nei confronti dello stato ebraico, dei suoi leader, del governo di Gerusalemme, benché ampiamente condivise; si rivelano dopo rapida verifica false e/o erronee. È per questo motivo che oggi diventa inderogabile affrontarle una ad una, smascherando la mistificazione e la calunnia.


1) «Il ritiro dai territori di Giudea e Samaria garantirà ad Israele sicurezza e accettazione internazionale»: FALSO.

Prima della conquista di questi territori da parte di Israele dopo la guerra subita nel 1967, gli stati arabi commisero tutti gli sforzi per indebolire diplomaticamente e militarmente lo stato ebraico. I tentativi arabi e iraniani di confutare le radici ebraiche in Israele e a Gerusalemme, e la legittimità dello stato ebraico, ancora oggi risuonano nella comunità internazionale; con l'UNESCO che fa da cassa di risonanza.
I palestinesi nel frattempo sono impegnati a creare un loro stato su tutta la Palestina mandataria britannica, indottrinando i loro bambini in questo senso.




La recente, folla pretesa palestinese di citare per danni il Regno Unito per aver emesso nel 1917 la Dichiarazione Balfour evidenzia la profondità del rifiuto palestinese di accettare e riconoscere lo stato di Israele.
Dalla nascita dello stato ebraico nel 1948 ad oggi, Israele è di fatto l'unico stato membro delle Nazioni Unite a cui è negato il principio dell'ONU della Sovrana Uguaglianza degli Stati.
Sotto questa prospettiva, il ritiro israeliano dai territori contesti minerebbe la sicurezza dello stato.


2) «L'occupazione israeliana dei Territori è illegale e costituisce una violazione del diritto internazionale»: FALSO.

Israele è entrato nei Territori nel 1967 dopo essere stato attaccato dagli stati confinanti, esercitando il sacrosanto diritto all'autodifesa nei confronti di un'ostilità offensiva e aggressiva.
L'occupazione di territori nell'ambito di un conflitto armato è condizione accettata e riconosciuta dalla pratica e dal diritto internazionali. Israele si è conformato alle norme che regolano gli aspetti legali e umanitari dell'occupazione di territori in seguito ad una guerra difensiva. L'amministrazione dei territori palestinesi è sottoposta alla verifica della Corte Suprema.
I Territori in precedenza non ricadevano in alcun modo sotto una giurisdizione o sovranità palestinesi. Quando essi ricadevano sotto il controllo giordano, non è mai stata esplicitata la volontà di fare di essi uno stato palestinese.
L'espressione spesso citato «territori palestinesi occupati», contenuta in una risoluzione ONU sovente citata, non ha alcuna base legale o validità giuridica. E non è supportata da alcun documento legale, storico o in qualche altro modo vincolante. È comunemente accettato che la creazione di un futuro stato palestinese sarà il risultato di negoziati. Ma Israele vanta legittime aspirazioni storiche e legali su parte di quei territori.
Accordi sottoscritti fra israeliani e palestinesi hanno dato luogo ad una cornice condivisa entro cui le dispute dovranno essere risolte, mediante negoziati bilaterali. A fronte di questo, nessuna influenza esterna di terze parti potrà mutare la natura e la destinazione dei Territori.


3) «La leadership palestinese è unita e gode del sostegno popolare»: FALSO.

La leadership palestinese è tutt'altro che unita. C'è una frattura insanabile fra il vertice dell'autorità palestinese operante in Giudea e Samaria, e l'amministrazione di Hamas a Gaza. La corruzione è ovunque dilagante. Il presidente dell'AP Mahmoud Abbas è all'undicesimo anno di un mandato quadriennale. Questa condizione mina ogni fiducia in un governo unitario, che rappresenti il popolo palestinese, e riduce le possibilità di assumere responsabilità o obbligazioni legalmente vincolanti.


4) «La leadership palestinese è moderata, e disposta al negoziato e al riconoscimento pacifico di Israele»: FALSO.

Tutto il contrario. Anche senza l'incitamento di Hamas, l'AP è impegnata in una politica di delegittimazione e di denormalizzazione dei rapporti con Israele. L'AP finanzia, celebra e incoraggia il terrorismo.


La leadership palestinese respinge gli inviti a riavviare i negoziati, e rifiuta di sedersi al tavolo con i governi israeliani. Addirittura blocca qualsiasi contatto di tipo diplomatico e persino professionale e sociale. Questo atteggiamento si colloca in direzione opposta agli auspici degli Accordi di Oslo. All'opposto, la leadership palestinese sostiene apertamente il boicottaggio e la delegittimazione internazionale di Israele.
Gerusalemme ha manifestato disponibilità e interesse per la soluzione "due stati per due popoli", ma la leadership palestinese continua ad opporvisi.


5) «Gli insediamenti ebraici sono illegali e violano il diritto internazionale»: FALSO.

Queste accuse sono basate su una conoscenza approssimativa del diritto internazionale e sugli impegni sottoscritti da Israele e l'OLP. Il divieto di trasferire la popolazione nei territori occupati al termine di un conflitto, fissato nel 1949 nella Quarta Convenzione di Ginevra, è stato sancito onde prevenire il ripetersi dei massicci trasferimenti forzati di popolazione occorsi durante il Secondo Conflitto Mondiale.
Nel caso israeliano, non c'è mai stata alcuna espulsione forzata o insediamento coercitivo.
Ciò non ha alcuna rilevanza sulla politica degli insediamenti israeliana, che riguarda l'utilizzo legittimo di territori dalla proprietà non definita, in attesa di un accordo permanente sulle dispute territoriali. L'impiego di territori non demaniali e non riconducibili alla proprietà di soggetti privati, per insediamento o per finalità agricole, è pienamente accettato dal diritto internazionale, fino a quando lo status dei territori viene regolato da negoziati fra le parti.
Per questo, gli insediamenti israeliani non possono costituire una violazione del diritto internazionale. Affermare il contrario equivale a distorcere ideologicamente principi giuridici fissati da tempo.
Nonostante le visioni opposte circa la legalità degli insediamenti israeliani, alla luce degli Accordi di Oslo questa tematica è demandata all'accordo fra israeliani e palestinesi. Nel frattempo gli Accordi non contemplano alcun congelamento o restrizione dell'attività edilizia da parte di israeliani e palestinesi nei territori di rispettiva competenza. Al contrario, ciò è pienamente consentito.
Sicché, la definizione preventiva e unilaterale della legittimità degli insediamenti, e l'imposizione della loro rimozione prima che sopraggiunga un accordo fra israeliani e palestinesi; sono inconsistenti con gli accordi finora sottoscritti, e costituiscono un pregiudizio della questione negoziale. L'affermazione che gli insediamenti costituiscano nocumento del conflitto non ha senso: il conflitto arabo-israeliano esiste da ben prima della Guerra del 1967.


6) «Gerusalemme appartiene agli arabi. Gli ebrei non possono vantare su essa alcuna rivendicazione»: FALSO.


La leadership palestinese manipola la storia e nega sfacciatamente le radici ebraiche dei luoghi sacri di Gerusalemme, nelle suepresentazioni internazionali come quelle dell'UNESCO. Ma non possono negare la realtà storica di Gerusalemme da tempo immemorabile centro della religione della tradizione ebraica. Ciò è riconosciuto persino nel Corano, nonché nel Vecchio e Nuovo Testamento, e nelle testimonianze degli storici.
I tentativi della leadership palestinese di incitare alla violenza attraverso accusa infondate rispetto ai luoghi sacri dell'Islam aGerusalemme, non hanno alcuna base e non mutano il fatto che la questione di Gerusalemme sarà definita attraverso negoziati bilaterali, nel rispetto dei principi sanciti ad Oslo.
Ogni assunzione o aspettativa che gli israeliani possano essere indotti a sostenere la richiesta di un ritiro unilaterali dai quartieri arabi di Gerusalemme Est, al di fuori di negoziati e di un accordo reciproco, è fuori luogo e non ha alcuna base.


7) «La leadership e il governo israeliani sono intransigenti, estremisti e si oppongono alla pace»: FALSO.

La pressante ostilità nei confronti dei governi democraticamente eletti di Israele è malriposta, ed è un'offesa per gli israeliani. La tendenza, particolarmente evidente in Europa e nelle organizzazioni internazionali, di prendere per oro colato le argomentazioni calunniose addotte dai palestinesi, spesso sfocianti in aperto antisemitismo; altro non è che accettazione di una cinica manipolazione della verità.
Alcune accuse abusano deliberatamente della buona fede e della correttezza politica dell'opinione pubblica internazionale. A nocumento di una analisi fattuale, oggettiva, storica e legale.
I politici europei e americani, assieme ai leader delle ONG, percepiscono di sapere meglio degli israeliani, quale sia la soluzione migliore per lo stato ebraico. Gli elettori di Israele, che eleggono i propri rappresentanti, e che ogni giorno affrontano le minacce dell'ostilità e del terrore, hanno al contrario una profonda consapevolezza politica, e sanno meglio di chiunque altro cosa è nell'interesse di Israele.
La convinzione che la pressione internazionale condurrà alla caduta delle istituzioni israeliane democraticamente elette, non fa che rafforzare lo stato ebraico e minare i principi basilari della società occidentale.


8) «L'attuale status quo fra Israele e palestinesi è insostenibile»: FALSO.

L'attuale stallo politico fra palestinesi e Israele non è il risultato della riluttanza del secondo, al contrario di quanto sostengono alcuni commentatori e persino governi occidentali. Gerusalemme ha ripetutamente manifestato disponibilità a riavviare i negoziati di pace con effetto immediato, in ossequio allo spirito e alla lettera degli Accordi di Oslo, che escludono iniziative unilaterali e di terze parti per la variazione dello status dei territori contesi.
L'attuale status quo è il riflesso del costante rifiuto della leadership palestinese di tornare al tavolo dei negoziati, preferendo indulgere con il vittimismo nei confronti della comunità internazionale, generando iniziative finalizzate a mettere lo stato ebraico sotto una cattiva luce, delegittimandolo. I palestinesi preferiscono insomma condurre una guerriglia diplomatica attraverso il boicottaggio e le minacce di iniziative pseudolegali nei consessi internazionali.
Ma l'imposizione unilaterale non è un modo accettabile per modificare lo status quo. In assenza di un processo diplomatico alla luce del sole, lo status quo non può che essere preservato.


9) «L'Islamofobia è sinonimo di antisemitismo»: FALSO.

La tendenza nella comunità internazionale di collegare l'antisemitismo all'islamofobia, in quanto entrambi esempi di razzismo, è totalmente errata. Questa tendenza sciaguratamente deriva da una eccessiva correttezza politica da parte di molti occidentali. L'antisemitismo è stato un fenomeno tragico condotto per millenni nell'esclusivo confronto degli ebrei, che hanno subito massacri, pogrom, espulsioni, torture pubbliche ed esecuzioni; linciaggio, conversioni forzate, distruzioni di luoghi di culto, riduzione in schiavitù, confisca dei beni, fino ad arrivare all'Olocausto nazista. L'antisemitismo è sempre ben presente sui media palestinesi e in generale arabi.


L'obiettivo dell'antisemitismo è quello di sterminare il popolo ebraico. Per questo, non può assolutamente essere confrontatoall'islamofobia, che deriva dal terrore provocato dall'Islam, in conseguenza dei movimenti radicali in esso presenti. Nessuna corrente di pensiero invoca lo sterminio dei musulmani. In questo contesto, la delegittimazione di Israele è giustamente vista da molti stati occidentali, come una versione moderna dell'antisemitismo.


10) «Israele è uno stato razzista che viola i diritti umani e pratica l'apartheid»: FALSO.

L'affermazione è ripetuta dai leader palestinesi e dai propagandisti di sinistra di tutto il mondo. Il primo ad adottarla fu Yasser Arafat, e in seguito le ONG che si riunirono nella famigerata conferenza di Durban del 2001. È indicativa di una evidente mancanza di comprensione della natura razzista del fenomeno storico noto come apartheid, per non parlare della natura aperta, pluralistica e democratica dello Stato di Israele.


Il confronto fra Israele e il Sudafrica sotto il suprematismo bianco è stato fermamente respinto da chi conosce molto bene il vecchio sistema dell'apartheid: i sudafricani, in primis. Lo scopo di questa vergognosa patacca, oltre a quello di delegittimare l'esistenza stessa dello stato di Israele, è di manipolare cinicamente la comunità internazionale, incoraggiando l'imposizione di un sistema di sanzioni internazionali, sulla falsariga di quanto fatto all'epoca con il Sudafrica.
Ma Israele è una società aperta, multirazziale, e le minoranze arabe partecipano attivamente al gioco politico. Gli arabi israeliani godono degli stessi diritti del resto della popolazione. Eleggono i propri rappresentanti alla Knesset, e diversi giudici arabi siedono alla Corte Suprema. Arabi si scorgono nelle posizione di vertice degli ospedali, delle università, delle ambasciate, delle forze di polizia e dell'esercito.
A differenza degli stati arabi in cui una religione è proclamata religione di stato, o degli stati occidentali over il cristianesimo è la confessione dominante, o di alcuni stati islamici come Iran o Arabia Saudita, dove alcune aree sono riservate ai musulmani, e dove donne e gay sono trattati come cittadini di seconda classe; la normativa israeliana considera il Giudaismo, l'Islam e il Cristianesimo religioni ufficiali e costituzionalmente garantite.
L'incitamento o l'esercizio del razzismo in Israele è un crimine punito dalla legge, così come tutte le forme di discriminazione sulla base della razza, della religione, del sesso o del genere. Le scuole, le università e gli ospedali israeliani non fanno alcuna distinzione fra ebrei e arabi.


L'opinione pubblica mondiale è bersagliata senza ritegno da una propaganda che genera una falsa narrativa attraverso la ripetizione meccanica di falsità e calunnie, allo scopo di distorcere la verità. È il momento che questa manipolazione della realtà sia affrontata e posta sotto la giusta luce, in modo da respingerla definitivamente.


* Ten False Assumptions Regarding Israel
su JCPA.org.

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