lunedì 24 ottobre 2011

La generosità di Abu Mazen



Il povero Abu Mazen starà soffrendo le pene dell'inferno nell'osservare la visibilità internazionale guadagnata da Hamas con lo scambio fra i 477 detenuti palestinesi ospiti delle carceri israeliane, e il caporale Gilad Shalit, sequestrato in Israele da un commando palestinese più di cinque anni fa. L'iniziativa unilaterale alle Nazioni Unite da parte del leader di Ramallah è ormai un ricordo quasi sbiadito: il Consiglio di Sicurezze dell'ONU si attarda nel pronunciarsi, e nel frattempo è imminente una rotazione in seno al Consiglio, che prevede l'uscita di quattro membri che certamente avrebbero votato a favore dell'ammissione della "Palestina", e l'ingresso di altrettanti membri la cui adesione alla "causa" è molto più dibattibile.
Il colpo di mano non è riuscito. Al tempo stesso, l'iniziativa di Hamas - pressato dalle difficoltà del regime siriano, e dalla necessità di trovare una sede più sicura di quella di Damasco - deve aver dimostrato ad alcuni che la diplomazia e la negoziazione sono inutili, se con la forza e il ricatto si può ottenere un risultato concretamente tangibile. Abu Mazen ha imparato la lezione: ora chiede che il governo israeliano liberi un consistente numero di detenuti, sulla base di una promessa che sarebbe stata fatta dall'ex primo ministro di Gerusalemme Olmert in cambio di una pace. Poiché Israele ha rilasciato dei terroristi su richiesta di Hamas, deve fare analoga concessione nei nostri confronti, è stata l'interessante argomentazione di Abu Mazen. Che a Gerusalemme ovviamente non si degnano nemmeno di confutare.

Nel frattempo le casse dell'Autorità Palestinese, già messe a dura prova, sono ulteriormente prosciugate. La decisione del Congresso USA di congelare una tranche periodica di finanziamenti verso l'ANP fino a quando non si accetterà il ritorno al tavolo dei negoziati bilaterali rischia di mettere in ginocchio la già traballante economia del West Bank. Ma ciò non impedisce ad Abu Mazen di ricompensare i criminali palestinesi rilasciati da Israele con un premio di ben 5000 dollari, che da quelle parti sono tutt'altro che disprezzabili: il reddito pro-capite a Gaza è di 600 dollari all'anno.
Così, mentre i seguaci di Hamas auspicano nuovi sequestri come forma di auto-finanziamento - sulla falsariga del terrorismo italiano degli anni '70 - Abu Mazen cerca di sorpassare la generosità del "governo" di Gaza con una ricompensa ben superiore ai 2000 dollari con cui criminali dalle mani sporche di sangue si godono la vita presso i lussuosi alberghi che si affacciano sul Mediterraneo orientale.
E nel frattempo, in questo giro vorticoso di denaro, i palestinesi che vivono nel West Bank e nella Striscia di Gaza continuano a morire di fame. Non stupisce più di tanto che in preda all'esasperazione, accettino di diventare carne da cannone, proponendosi per operazioni terroristiche aventi come bersaglio l'incolpevole popolazione civile israeliana.

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