martedì 11 ottobre 2011

Quale stato di Palestina?...



Il presidente dell'ANP Abu Mazen sta lasciando la Colombia, dove ha incontrato il presidente della repubblica sudamericana, per dirigersi verso il Portogallo, dove incontrerà l'omologo lusitano. Il tentativo è quello di creare pressione sui membri non permanenti dell'UNSC, chiamata a rispondere alla richiesta di membership da parte dei palestinesi. Occorre la maggioranza qualificata di 9 membri su 15, come già rilevato.

Ma sta circolando in queste ore un parere legale che renderebbe impervia la richesta pendente alle Nazioni Unite. La richiesta di adesione a 194esimo stato membro farebbe presumere l'esistenza di uno stato, o un embrione di stato, di cui riconoscere l'esistenza sul piano formale. Secondo le norme del diritto internazionale - e in particolar modo secondo la Convenzione di Montevideo del 1933 - ciò preliminarmente richiederebbe il soddisfacimento di quattro stringenti e cogenti condizioni:

1) deve esistere una "popolazione permanente". Requisito difficile da soddisfare, dal momento che ben sei milioni di arabi palestinesi risiedono in campi profughi in Egitto, Siria, Libano e Cisgiordania, e ai quali non sarà riconosciuta la cittadinanza palestinese, stando ad una dichiarazione dell'ambasciatore dell'OLP in Libano.

Grottesco: la dirigenza palestinese pretende un fantomatico "diritto al ritorno" in patria da parte dei discendenti degli arabi che furono convinti a lasciare Israele prima della guerra scatenata nel 1948 contro il neonato stato da parte dei paesi arabi confinanti, riconoscendo loro una identità palestinese; ma non sono essi ritenuti sufficientemente tali da entrare a far parte del nuovo stato.

2) Un territorio definito. Argomento spinoso, dal momento che sussiste un profondo disaccordo fra israeliani e palestinesi. Gli Accordi di Oslo sottoscritti dalle parti nel 1993, oltre a favorire la nascita dell'Autorità Nazionale Palestinese (ANP), generosamente finanziata da allora dal mondo occidentale per promuovere lo sviluppo embrionale del futuro stato, prevedono il raggiungimento di confini definiti mediante negoziati bilaterali e non mediante iniziative unilaterali. Bisogna ricordare che la risoluzione ONU del 1947 che diede vita alla nascita dello stato di Israele previde confini ben definiti per entrambi gli stati, ma la parte araba si rifiutò di accettare la partizione.

3) Un governo definito. Nulla di più lontano dalla realtà. Malgrado l'accordo di riconciliazione sottoscritto al Cairo lo scorso mese di maggio fra l'ANP e Hamas, la futura "Palestina" è amministrata da due governi, peraltro tutt'altro che legittimi: i fondamentalisti islamici di Hamas governano la Striscia di Gaza con un colpo di stato, dopo aver vinto le elezioni del 2006 senza conseguire la maggioranza assoluta. La necessità di condividere il potere con Al Fatah ha indotto gli estremisti di Hamas ad allontanare la fazione avversaria con la forza, con la violenza, con l'intimidazione e con rappresaglie ed esecuzioni sommarie. A sua volta, il governo di Ramallah si poggia su un mandato "parlamentare" scaduto all'inizio del 2009: più di due anni fa. Nuove elezioni non sono state tenute da Abu Mazen nel timore che esse possano consegnare il potere ai rivali di Hamas anche in Cisgiordania.

4) Capacità di relazionarsi con altri stati. L'atto costitutivo di Hamas prevede come obiettivo primario della organizzazione l'eliminazione fisica di Israele; al tempo stesso, la dirigenza palestinese di stanza a Ramallah ha chiarito che il nuovo costituendo stato sarà "judenrein", privo di ebrei, difettando di reciprocità dal momento che in Israele vivono felicemente oltre un milione di arabi che si guardano bene dal chiedere il passaporto palestinese.

La prospettiva di uno stato di Palestina, benché auspicabile nel lungo periodo, appare viziata da una serie di gravi "incongruenze", ad essere buoni...

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