sabato 5 aprile 2014

Guida ai falliti negoziati israelo-palestinesi


Malgrado i resoconti di intensi sforzi da parte americana di incoraggiare negoziati fra Israele e palestinesi, pare dalla stampa e dalle affermazioni pubbliche di esponenti dell'amministrazione Obama, che l'estenuante negoziato durato ormai quasi nove mesi si stia avviando a fallimento.


LE PARTI HANNO NEGOZIATO PER MESI: E ORA CHE SUCCEDE?

A luglio 2013 il segretario di Stato USA John Kerry annunciò il ripristino di negoziati diretti fra israeliani e palestinesi, dopo tre annni di silenzio, con l'obiettivo di raggiungere un accordo di pace entro nove mesi.
Ogni parte concordava su una serie di condizioni - inclusa quella di evitare di discutere in pubblico circa l'andamento dei negoziati - che prevedevano da ambo le parti la concessione di gesti di buona volontà: Israele si impegnava a scarcerare in quattro tranche 104 terroristi palestinesi ospitati presso le sue carceri; i palestinesi accettavano di congelare il proposito di aderire a diverse organizzazioni internazionali, rimandando il riconoscimento come stato indipendente.
Dopo alcuni mesi, la diplomazia USA ha riconosciuto che sarebbe stato improbabile da parte dei due contendenti il raggiungimento di un accordo definitivo entro aprile 2014, così gli Stati Uniti hanno incoraggiato le parti a sviluppare un "accordo quadro", che avrebbe rappresentato un punto di partenza per un successivo accordo; prolungando i negoziati fino alla fine del 2014, inizio 2015. Si prevedeva che ambo le parti avrebbero aderito, sebbene non mancassero riserve su specifici aspetti.
Per buona parte del 2014, i negoziati sembrano animati dal tentativo di definire questo accordo quadro, che includeva previsioni sulle misure di sicurezza, sui confini, e sulla definizione di Israele come "stato ebraico".


COSA È SUCCESSO QUESTA SETTIMANA?

Gli ultimi giorni hanno fatto registrare un'attività frenetica su ambo i fronti. Con l'approssimarsi della scadenza del 29 luglio, Kerry ha intensificato gli sforzi, con il suo entourage che ha sollecitato le parti ad acconsentire ad un'estensione di un anno dei negoziati.
Al contempo, ci sono state montanti tensioni a proposito del rilascio, previsto per il 29 marzo, dell'ultimo scaglione di detenuti nelle carceri israelane. Il rilascio è stato ostacolato da diversi fattori, ma fondamentalmente il governo israeliano è stato riluttante a concedere la libertà a terroristi "con le mani macchiate di sangue", nel momento in cui appariva evidente che i palestinesi esitavano ad estendere i negoziati oltre la scadenza di fine aprile.
Kerry ha riprogrammato gli appuntamenti ed è volato a Gerusalemme il 31 marzo per incoraggiare l'estensione dei negoziati e allo stesso tempo il rilascio dell'ultimo gruppo di terroristi. A quanto pare, gli sforzi si sono rivelati vani.


CHE COSA COMPORTA IL PROPOSITO DI LIBERARE JONATHAN POLLARD?

Secondo organi di stampa che citano fonti interne ai negoziatori di Israele e degli Stati Uniti, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha avallato un "accordo circolare" che riguardava Israele, l'Autorità Palestinese e gli Stati Uniti. Israele avrebbe appoggiato un'estensione della durata dei negoziati, il rilascio degli ultimi 26 detenuti (inclusi 14 arabi israeliani), il rilascio futuro di ulteriori 400 detenuti, la cui scelta sarebbe stata a discrezione di Gerusalemme e un parziale congelamento dell'attività edilizia nel West Bank, con esclusione di alcune aree, inclusa Gerusalemme Est. I palestinesi avrebbero acconsentito ad un'estensione dei negoziati, continuando ad esimersi dal proposito di aderire alle organizzazioni internazionali, mentre è stato da più parti riportato che gli Stati Uniti avrebbero rilasciato Jonathan Pollard, che sta scontando una condanna all'ergastolo per aver passato documenti riservati ad Israele.
Il governo di Gerusalemme  e molti americani hanno da tempo sollecitato il rilascio di Pollard per motivi umanitari, e tenuto conto della lunga condanna detentiva (quasi 30 anni, NdT) già scontata. La ventilata liberazione di Pollard ha suscitato forti reazione fra gli israeliani e gli stessi americani. Molti hanno sostenuto che la questione Pollard non avrebbe dovuto essere collegato al processo di pace.


PERCHÈ SI È RAGGIUNTO UNO STALLO?

I giornali davano per imminente un'intesa per il 31 marzo, e Kerry aveva già programmato un ritorno in Medio Oriente il 2 aprile: subito dopo il vertice NATO dedicato all'Ucraina, per incontrare il presidente dell'AP Mahmoud Abbas onde perfezionare i dettagli. Ma con una mossa a sorpresa, il 1° aprile Abbas è comparso sulla TV palestinese, dichiarando di aver approvato la piena adesione a 15 convenzioni internazionali, violando perlomeno lo spirito dell'intesa preliminare di luglio 2013. La decisione è giunta a sorpresa, senza preventivamente avvisare Israele e i negoziatori americani. Il segretario di Stato USA è stato costretto a fare marcia indietro, cancellando il volo per Ramallah, e la proposta americana di estendere i negoziati è caduta nel vuoto.


PERCHÈ È PROBLEMATICA LA RICHIESTA DI ADESIONE PALESTINESE?

La campagna palestinese finalizzata a guadagnare il riconoscimento internazionale come stato sovrano, è uno sforzo per aggirare i negoziati diretti con Israele, che condurrebbero al beneficio di riconoscimento statuale. Israele, Stati Uniti ed Europa scoraggiano questa mossa, vista come atto ritorsivo e controproducente. Una simile azione unilaterale renderebbe la riconciliazione negoziale - che condurrebbe alla nascita di uno stato palestinese - ancora più evanescente, al contempo senza apportare alcun reale vantaggio per il popolo palestinese.
L'Autorità Palestinese ha incominciato a cercare il riconoscimento internazionale a partire dal 2011. Prima mediante la piena iscrizione all'ONU attraverso il Consiglio di Sicurezza; poi, quando è apparso evidente che questa scelta non sarebbe stata approvata, nel 2012 attraverso il riconoscimento di "stato non membro" formulato dall'Assemblea Generale. L'AP ha anche goduto dell'iscrizione all'UNESCO nel 2011.


E ORA CHE SUCCEDE?

Questo non è chiaro. Nell'annunciare la cancellazione del viaggio a Ramallah, il segretario di Stato Kerry ha aggiunto: «è importante mantenere in essere il processo di pace, e cercare un modo con cui le parti possano compiere passi in avanti. Anche stasera i due contendendi affermano che vogliono continuare a trovare il modo per procedere oltre». Ci sono testimonianze di ulteriori sforzi condotti dal negoziatore capo americano, Martin Indyk, affinché le parti tornino a sedersi attorno ad un tavolo.


CHE SUCCEDERA' IN ISRAELE?

In Israele la maggior parte della popolazione (il 68%, secondo il sondaggio più recente) appoggia i negoziati di pace con i palestinesi e la soluzione dei due stati. Questo sostegno è sempre rimasto stabile negli ultimi vent'anni. Negli ultimi due lustri, in particolare, una crescente maggioranza di israeliani (il 69%) ha espresso forti dubbi che i negoziati possano effettivamente condurre alla pace.
L'autolesionismo dell'AP che ha prodotto l'affondamento dei negoziati con ogni probabilità intensificherà i dubbio fra la popolazione israeliana circa l'effettiva volontà palestinese di porre fine al conflitto con Israele.


Fonte: Israeli-Palestinian Peace Negotiations: A Guide to Unfolding Developments.

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