Il piccolo stato ebraico ha disposto un blocco navale al largo delle coste di Gaza nel 2007, con l'avvento al potere dopo sanguinoso colpo di stato da parte dei fondamentalisti islamici. Questo provvedimento, legittimo sul piano del diritto internazionale (lo certifica il rapporto ONU della Commissione Palmer), ha prevenuto l'arrivo a Gaza di armi e munizioni via mare, senza per ciò pregiudicare le attività marittime e di pesca della popolazione gazana. Non ha evitato ovviamente il contrabbando di armi tramite la penisola del Sinai e i tunnel clandestini scavati dai terroristi fra l'Egitto e la Striscia; ma ciò non ha mai impedito la collaborazione sanitaria, umanitaria e di supporto alla vita di tutti i giorni da parte di Gerusalemme.
Israele facilita quotidianamente il transito di centinaia di camion, principalmente dal valico di Kerem Shalom, dal quale passano tonnellate di beni di ogni tipo: generi alimentari, medicinali, tessuti, giocattoli, beni di prima (e seconda) necessità. Ciò allevia la sofferenza dei palestinesi, provocata dal regime oppressivo di Hamas e dalla sempre più accesa ostilità dell'Egitto. Ma si può fare senz'altro di più.
Il Times of Israel ieri ha reso noto che il governo di Gerusalemme ha autorizzato l'incremento - da 100 a 350 unità - dei camion che ogni giorno attraversano il valico di Kerem Shalom per consegnare materiali da costruzione (cemento, mattoni, calcestruzzo, tondini in ferro, ghiaia, e via costruendo). La misura dovrebbe stimolare l'economia gazana, migliorandone la rete infrastrutturale.
Il bando dei materiali da costruzione è stato alleviato tre anni dopo il colpo di stato di Hamas, e alleggerito ulteriormente lo scorso anno.
Ma c'é dell'altro. Il governo palestinese ha dichiarato all'agenzia di stampa Ma'an News che Gerusalemme ha accordato la fornitura ulteriore di 5 milioni di metri cubi di acqua potabile all'anno verso Gaza, e di ulteriori 4 milioni verso il West Bank (Israele fornisce già acqua ed elettricità, di cui cura oltretutto la manutenzione degli impianti, peraltro in condizioni di rischio di vita per gli assalti subiti dai tecnici israeliani al lavoro su tralicci e pali); oltre ad aver incrementato di 5000 unità il numero di permessi di soggiorno in Israele per lavoro: oggi lavorano nello stato ebraico oltre 50.000 palestinesi. Tutti ben felici di augurare lunga vita e prosperità allo stato ebraico. Al contrario, ovviamente, dei volenterosi filopalestinesi, per nulla interessati alle sorti degli abitanti di Gaza e del West Bank, quanto lo sono viceversa alla distruzione dello stato ebraico.
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