Bizzarro. L'Unione Europea ha un modo davvero bislacco di concepire i negoziati di pace fra due parti: imponendo ad una delle due, dal comodo delle poltrone di Bruxelles, una conclusione nota in partenza. Un atteggiamento sprezzante che non si adotta nemmeno con un nemico di guerra, al quale quantomeno si concorda il formalismo onorevole della conferenza di pace. Se poi una delle due parti è Israele, ogni ragionevolezza può essere legittimamente calpestata; e poco importa se la controparte araba ha sottoscritto principi condivisi, che ora Eurabia vuole abbattere. Persino il mediocre Kerry, fra una capitale mediorientale e l'altra, sta salvando l'apparenza di una laboriosa tessitura diplomatica che conduca all'unico modo per dirimere una controversia: il negoziato.
No, l'Europa no. Pazienza se le capitali internazionali facciano registrare uno sconsolante "non pervenuto" a proposito della politica estera dell'Unione: nana nel resto del mondo, aspirante gigante nel Vicino Oriente. Perché mai i palestinesi dovrebbero sedersi attorno ad un tavolo, se questo stato di tensione permantente consente loro di beneficiare di generosi finanziamenti internazionali; e se la baronessa Ashton sollecita l'approvazione di una direttiva che vieta all'UE di avere ogni tipo di rapporto - commerciale, economico o istituzionale - con qualunque entità istituita ad est delle linee armistiziali del 1949? quelle linee, è bene ricordarlo, che israeliani e arabi chiarirono essere assolutamente provvisorie, e non rappresentative in alcun modo di un futuro confine. Quelle linee, superate nella guerra difensiva del 1967 dall'esercito israeliano per riappropriarsi della capitale Gerusalemme, occupata illegalmente dalla Giordania nel 1949. Quella Linea Verde al cui oriente si collocano territori tuttora contesi e da regolare definitivamente, in ossequio agli Accordi di Oslo sottoscritti nel 1993 dall'OLP di Arafat, con il beneplacito della stessa Unione Europea.
La smania di protagonismo dell'"Alto" (evidente ossimoro) rappresentante dell'Unione per gli affari esteri, ha prodotto una mostruosità giuridica. Primo: sì a finanziamenti al buio alle organizzazioni palestinesi di ogni tipo, anche quelle sospettate di attività terroristiche o antisemite; no a finanziamenti e semplice cooperazione (anche accademica, dunque...) con "istituzioni" israeliane collocate al di là della Green Line. Secondo: la richiesta che tutti i futuri accordi fra l'Unione (e possibilmente, fra i singoli stati membri) e Israele contengano una clausola in cui lo stato ebraico accetti la posizione della UE secondo cui tutti i territori ad est della Linea Verde non appartengano a Gerusalemme.
Il provvedimento, si sottolinea, è stato licenziato nella convinzione che sia nello stesso interesse di Israele. Difficile spiegare come un cittadino israeliano che lavori per l'università di Ariel, o un dipendente pubblico che operi nei quartieri orientali di Gerusalemme, possa godere del fatto di dover lasciare il proprio impiego e trasferirsi altrove, per compiacere la baronessa Ashton. Ma da Bruxelles fanno notare che la rinuncia di Gerusalemme a tutti i propri diritti consentirebbe accedere a futuri piani di finanziamento, e non sottoscrivere la previsione della direttiva impedirebbe ad Israele di conseguire i benefici di futuri accordi economico-commerciali.
Come a dire, il bastone e la carota. E mentre l'Unione Europea mostra i muscoli, la pace fra israeliani e palestinesi si allontana...
Fonte: When Europe demanded Israel surrender the Western Wall.
Nessun commento:
Posta un commento