giovedì 25 gennaio 2018
Voltiamo pagina: basta parlare di "soluzione dei due stati"
Abu Mazen ha ragione: è tempo di cestinare gli Accordi di Oslo del 1993, che per la prima volta nella storia hanno generato un embrione di stato palestinese, oltre ad un vistoso solco nelle casse statali delle democrazie mondiali: febbrilmente impegnate a foraggiare copiosamente un nuovo stato, mai nato, in buona parte per la cinica riluttanza del ceto dirigenziale palestinese.
Quegli Accordi, che contemplavano alfine la creazione di uno stato palestinese, come punto di arrivo di negoziati bilaterali; hanno generato aspettative malriposte da ambo le parti, frustrazione, lutti, arricchimenti dei clan legati prima ad Arafat, poi ad Abu Mazen; copiosi investimenti in sicurezza da parte di Gerusalemme, e fiumi e fiumi di stantia retorica nel resto del mondo.
La diplomazia deve realizzare il mutamento avvenuto sul campo. Isolato e privo di argomenti, Abu Mazen è sempre più determinato ad avventurarsi lungo il sentiero integralista di Hamas, rivendicando tutto Israele, partendo dalla negazione dei legami fra la sua capitale e la storia trimillenaria degli ebrei, e arrivando ad inventare di sana pianta una "storia del popolo palestinese", ignorando l'assenza di qualsivoglia testimonianza vagamente storicizzata che risalga a prima del 1967.
Si potrà dubitare della buona fede della dirigenza israeliana, qualsiasi colore politico si sia avvicendato alla guida dello stato ebraico; ma è innegabile che tutte le offerte provenute da Gerusalemme - incluse quelle generosissime, imperdibili del 2000-2001 e del 2007-2008 - sono state fermamente rimandate al mittente. Paradossalmente, siamo giunti alla conclusione che gli israeliani potrebbero consegnare ai palestinesi le chiavi di tutte le rispettive case, ottenendone uno sgarbato diniego, derivante dalla consapevolezza che il giorno successivo per la corrotta burogerontocrazia palestinese non ci sarà più alcuna offensiva da scatenare.
Un sondaggio conferma una realtà che manderebbe in fibrillazione le organizzazioni sovranazionali che motivano budget miliardari proprio con il presunto sostegno loro offerto alla cosiddetta "causa palestinese". Un'inchiesta condotta congiuntamente dal Tami Steinmetz Center for Peace Research della Tel Aviv University e dal Palestinian Center for Policy and Research di Ramallah, denuncia il nuovo minimo nel livello di fiducia circa la "soluzione dei due stati" proposta come un disco rotto dalla diplomazia internazionale, incapace di produrre sforzi effettivi e risolutivi.
Il sondaggio parte da un ipotetico piano, che contemplasse la nuova separazione di Gerusalemme - divisa durante l'occupazione giordanta del 1949-67 - con la zona orientale destinata a capitale della "Palestina", il ritiro di Israele ai confini provvisori del 1949, l'ingresso nello stato ebraico di 100.000 palestinesi sedicenti discendenti di coloro che lasciarono lo stato dopo la guerra dichiarata dalle potenze arabe nel 1948 e scambi territoriali fra i due stati. La risposta è stata agghiacciante: bocciata, dal 54% degli israeliani, e dal 57% dei palestinesi. Sotto questa prospettiva, l'iniziativa dell'amministrazione Trump, che ha riconosciuto Gerusalemme quale capitale di Israele, e il chiacchierato piano di pace che beneficerebbe dell'approvazione delle potenze arabe sunnite, ridimensiona le improbabili ambizioni palestinesi, e coglie una realtà da diversi lustri evidente a tutti; tranne a chi si fa accecare dall'ideologia.
In questo contesto, in rapida evoluzione, l'Europa ha scelto di combattere una battaglia di retroguardia; puramente ideologica, appunto. Il viaggio di Abu Mazen a Bruxelles appare il mesto canto del cigno di un burocrate lanciato alla guida dell'OLP senza minimamente avere la stoffa dello statista. Non che il suo predecessore l'abbia mai avuta. Ma, a questo punto, l'Occidente deve trovare la lucidità di voltare pagina, e congegnare per i palestinesi - se proprio è necessario - una soluzione creativa che tenga conto della realtà sul campo. Non ha senso impiegare decine di milioni di denaro pubblico, al solo scopo di compiere uno sgarbo a chi ha dimostrato visione più lucida.
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