E' Facebook ad offrire loro una comoda vetrina, un mezzo di indottrinamento popolare e a basso costo. La propaganda antisemita non deve essere necessariamente documentata e veritiera. Niente prove, basta qualche argomentazione basata su frammenti di notizie, sapientemente manipolate; su immagini ad effetto, vistosamente deformate; su ragionamenti superficiali, che spesso si rivelano delle diffamazione alterazioni della verità vere e proprie. Su bufale vere e proprie, che un pizzico di intelligenza smaschererebbe immediatamente.
Pagine di Facebook dedicate alla cucina, alla musica e ad altre manifestazioni del sociale, apparentemente "innocua", sono sfruttate per la loro ribalta e per il basso livello di "autodifesa" degli utenti per spacciare per verità clamorose mistificazioni, che trovano subito pronte un attivo gruppetto inside, abile a manipolare l'opinione della maggioranza. Pressoché impossibile smascherare questo sabotaggio della verità, questa diffamazione bella e buona. Qualcuno ci prova, ma l'impresa è disperata. Qualcuno realizza l'inganno, ma è la minoranza.
Bando alle ciance. Il blog "Bugie dalle gambe lunghe" sta facendo un grandioso lavoro di smascheramento di queste frottole, e descrive un caso esemplare di pseudogiornalismo, di inchiesta, il cui fine neanche tanto velato è di gettare fango sugli israeliani, manipolando senza scrupoli una notizia vecchia di 11 anni fa, e per giunta parziale e incompleta. Obiettivo tristemente raggiunto, si direbbe...
Esiste, come qualcuno forse saprà, tutto un filone di pagine web che si spacciano per “sinistra”, più o meno radicale, ma che in realtà nascondono contenuti che sono molto più vicini alle ideologie naziste, fasciste e negazioniste. E’ il caso della pagina facebook che ha pubblicato questa foto, spacciandola per “notizia recentissima”.
La notizia, in ogni caso, sarebbe buona: una persona salva la vita a un’altra donando i suoi organi. Se poi i protagonisti sono un palestinese e un israeliano, ancora meglio. Se non fosse che questa storia, avvenuta in uno spazio temporale completamente diverso da quello “dell’attualità”, è servita soltanto a “mostrare” quanto i palestinesi siano “pieni di buon cuore”. Infatti, l’assassinio del presunto 18enne è stato attribuito, tout court, all’esercito israeliano. Ho anche trovato altre pagine che, invece, l’attribuivano ai “coloni”. Come sappiamo, ormai il giornalismo è un mestiere abusato: chiunque decida di attribuirsi il titolo di “giornalista” puo’ andare su google, digitare due o tre parole chiave, magari in italiano per fare prima, prendere i primi risultati che gli appaiono e farci un bell’articolino. Puo’ sembrare un passatempo innocuo, ma lo è meno di quel che si direbbe. Ogni notizia di questo tipo scatena reazioni velenose da parte di quei lettori che non vedono l’ora di manifestare al mondo il loro schifo per gli ebrei, a volte subdolamente nascosti sotto le spoglie di israeliani. E’ il caso anche della pagina in questione, naturalmente. Cosi’, quella che doveva essere “una buona notizia” serve a mettere in luce commenti come questo: “quel cuore sobbalzerà nel petto ogni volta che si commetterà un delitto contro i palestinesi…” Ma anche come questo: “col cazzo ke un ebreo donava qcs a qcn!!!!!!” o questo: “Io non sarei stato così generoso verso chi ha invaso la mia terra”; o questo: “É un bel gesto umano… Ma sono sicura che gli ebrei non sono nemmeno commossi”. Tutto nel silenzio condiscendente degli admin, ben lieti di “movimentare” un po’ la loro pagina.
Per inciso, la notizia è del 2001. Il Corriere della Sera la riporto’ il 5 giugno 2001, con un articolo di Lorenzo Cremonesi: “Mazen, «assassinato a 32 anni -non 18 come riportato- da una squadraccia di fanatici, lascia una moglie e tre piccoli orfani. Ma ha donato il suo corpo per salvare le vite di un bambino palestinese, un arabo israeliano e tre ebrei israeliani». La famiglia di Mazen Joulani ha sempre addossato l’omicidio del figlio a “coloni” senza peraltro mai averne avuto uno straccio di prova. Riporta il Corriere: “Racconta Totah Kalil, il proprietario del «Biliardo», un piccolo bar all’ entrata del campo profughi palestinese di Shuafat, dove venerdì notte Mazen è stato trapassato alla nuca da un proiettile: «Mezzanotte era trascorsa da un pezzo. Un’ ora prima avevamo sentito la notizia del massacro compiuto da un giovane palestinese, che si era fatto saltare in aria davanti a una discoteca sul lungomare di Tel Aviv. Noi stavamo giocando a carte ai tavolini di fronte al locale. Quando abbiamo sentito uno sparo, tutti siamo corsi dentro. Poi abbiamo visto Mazen a terra con il collo insanguinato. Senza dubbio era stata la vendetta dei coloni ebrei. Non è la prima volta che sparano verso Shuafat». Secondo la polizia israeliana, sarebbe invece stato «un regolamento di conti tra criminali locali».
Il The Telegraph pubblica la notizia un giorno dopo il Corriere, il 6 giugno 2001. Sebbene d’abitudine non tenero nei confronti della politica israeliana, il Telegraph non se la sente di dare per scontata la responsabilità né dei coloni né dell’esercito e scrive: “The circumstances of his brother’s death in East Jerusalem on Thursday night are disputed. The Israeli police say Mr Joulani was shot by another Palestinian in a dispute. The family insists it was a revenge attack.” Nell’articolo del The Telegraph, il “ricevente” si chiama Ygal Cohen.
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