martedì 26 agosto 2014

Il falso mito di Gaza sovraffollata


Ci fa piacere che ancora permanga la retorica circa la Striscia di Gaza "prigione a cielo aperto", in cui la popolazione palestinese convive faticosamente, gomito a gomito, contendendosi centimetri quadrati di spazio. Quantomeno ciò smonta definitivamente l'altra leggenda metropolitana che tuttora circola fra i simpatizzanti di Hamas, secondo cui sarebbe in atto un genocidio del popolo palestinese. Motivando questa strampalata accusa con le 2000 vittime prodotte secondo il "ministero della salute" di Gaza in 50 giorni di combattimenti; sorvolando sulla veridicità della statistica comunicata dagli integralisti islamici - saranno le verifiche successive ad accertarlo; ma l'esperienza storica suggerisce l'inevitabilità di una robusta tara - e sulla composizione delle vittime, per almeno metà combattenti; in un solo giorno sono stati massacrati nello Xinjiang, in Cina, oltre 2400 uiguri, vittime da anni della repressione di Pechino. Scommettiamo che questo genocidio farà fatica a conquistare i cuori e le menti dei pacifisti a tema.
Purtroppo ben altri sono i genocidi nel mondo, correnti e passati. Una rapida occhiata a Wikipedia testimonia come i palestinisti stiano abusando di questo termine, svuotandolo del reale significato che rappresenta, per farne uso improprio e strumentale. Le tragedie umanitarie che altrove affliggono questa Terra giacciono inascoltate. Ma per un popolo che ha goduto del privilegio di avere un'agenzia per i rifiguati ONU tutta per se', si può tollerare questo e altro, no?

Va bene, a patto di chiarire come l'affollamento della Striscia di Gaza - 360 chilometri quadrati: il doppio della superficie del comune di Milano, nel quale abita però pressoché la stessa popolazione... - smentisca la leggenda dello sterminio della popolazione: non a caso i 340 mila abitanti che popolavano l'enclave palestinese nel 1970, sono raddoppiati dopo vent'anni, e più che quintuplicati da allora ad oggi. Non conosciamo alcun caso di "sterminio sistematico" della popolazione indigena, in cui la stessa sia aumentata, anziché ridursi.
Certo, è difficile vivere serenamente se si è circondati da depositi di armi, da rampe di lancio di missili e razzi, da edifici pubblici - scuole, ospedali e moschee - che agiscono da polveriere per i terroristi palestinesi, con la colpevole omissione se non la palese complicità delle agenzie ONU che altrimenti dovrebbero vigilare e denunciare. Ma sorvolando su questo tema, fa persino sorridere il candore con cui la propaganda tenta di accreditare la falsità di Gaza come zona sovraffollata, e perciò quasi costretta a liberarsi di missili e razzi per fare spazio alla propria popolazione...


Saremmo parziali se attribuissimo la paternità di questo mito ai soli palestinesi, che già hanno le loro gatte da pelare. Perché non accreditare i volenterosi giornalisti (Robert Fisk, corrispondente dal Medio Oriente: «Le miglia quadrate più sovrappopolate del mondo intero») e direttori delle agenzie ONU (Christopher Gunness, portavoce dell'UNRWA: «Una delle aree del pianeta più densamente popolate») del merito di questa bufala, tuttora ben divulgata?
Certo, Gaza è ben popolata. Ma il problema cogente non è certamente questo. Secondo l'Ufficio Federale americano di statistica (US Censis Bureau), nel 2012 la densità di Gaza - popolazione per miglio quadrato - a 11.542 persone, si colloca ben al di sotto di Singapore (17.723), Hong Kong (17.422), per non parlare del Principato di Monaco (39.609) e Macao (52.163). Nessuno si sogna di organizzare una spedizione umanitaria a favore di questi piccoli stati.
Certo, il paragone può risultare irriguardoso benché oggettivo. Ma serve a sottolineare come anche spazi relativamente ristretti possano favorire eccellenti condizioni di vita, se vi è una volontà in tal senso. Una volta si parlava del Libano come la "Svizzera del Medio Oriente". Gli ingenti versamenti di denaro di tutto il mondo occidentale a favore della Striscia di Gaza, avrebbero potuto favorire un tenore di vita invidiabile, se quel denaro non fosse stato impiegato per l'acquisto di armi; e se le coltivazioni lasciate da Israele nel 2005 non avessero lasciato posto a trincee e rampe di lancio.


Il punto è proprio questo: se i miliardi di dollari sopraggunti qui non fossero stati finalizzati all'acquisto e al lancio di quasi 10.000 missili in 7 anni, e se il regime di Hamas non avesse come obiettivo unico lo sterminio della popolazione del vicino Israele; i palestinesi vivrebbero dignitosamente. Non bisogna lasciarsi incantare dalla propaganda: una rapida ricerca su Trip Advisor evidenzia la presenza, nella "prigione a cielo aperto", di numerosi alberghi lussuosissimi. Abbondano i centri commerciali e, malgrado la sedicente scarsità di acqua - fornita da Israele comunque in quantità duplice rispetto agli impegni assunti nei confronti dell'OLP con il Trattato di Oslo (60 milioni di metri cubi all'anno, rispetto a 31 milioni garantiti) - non è infrequente scorgere fontane pubbliche e parchi acquatici. Il reddito pro-capite è basso, ma secondo stime delle Nazioni Unite esso si attesta al centodecimo posto al mondo, su 193 stati membri dell'ONU. Il vicino Egitto, il Pakistan vantano un benessere economico più basso, ma non sono destinatari delle attezioni del mondo. Il Niger denuncia una maggiore tasso di mortalità infantile, una speranza di vita contenuta a 52 anni, e un medico ogni 33.000 abitanti; ma nessuna ONG si fa carico di rendere pubblica la tragedia umanitaria.
Ma Hamas a Gaza si permette il lusso di spendere in due anni 1.5 miliardi di dollari; e non per la costruzione di scuole, o ospedali; bensì per costruire una rete di tunnel che avrebbe portato nelle case delle famiglie israeliane terrore e morte.


La guerra fra Hamas e Gerusalemme, giunta ormai al 50esimo giorno, sta per lasciare auspicabilmente posto alla tregua - hudna, in arabo. Hamas non ha alcuna intenzione di sottoscrivere un trattato di pace; ne' oggi, ne' mai - e si incomincia a guadagnare la posizione migliore per scrivere le regole che regoleranno i prossimi mesi di silenzio delle armi. E denunciare il sovraffollamento e la "tragedia del popolo palestinese" servirà a guadagnare maggiore e migliore accesso alle vie d'ingresso delle forniture belliche, che consentiranno il prossimo inevitabile attacco nei confronti dello stato ebraico.

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