martedì 10 febbraio 2015

Abu Mazen, il tiranno "moderato"

di David Keyes*

Quale presidente arabo "moderato" ha abbracciato in pubblico la scorsa settimana il dittatore genocida sudanese? quale "riformatore" mediorientale è appena entrato nel decimo anno di un mandato dalla durata prevista di quattro anni? quale "alleato" dell'Occidente ha appena ordinato un'indagine nei confronti di un vignettista, per aver raffigurato Maometto?
Risposta esatta: si tratta di Mahmoud Abbas (meglio noto in Occidente con il nome di battaglia di Abu Mazen, NdT).
Queste tre notizia a malapena si scorgono sui media occidentali. Perché? semplicemente perché l'asticella è stata collocata talmente in basso, che esse non sono ritenute di interesse generale. Un leader arabo che non concede elezioni? che noia... Un presidente mediorientale che abbraccia uno dei più sanguinari e spietati assassini di massa dell'ultimo secolo? uffa...
Sussiste una tragica disconessione fra la retorica occidentale e la realtà mediorientale. Abbas, a giudicare da come è coccolato dal mondo libero, è un moderato, un riformatore e un alleato. Dopotutto, è sempre meglio di Hamas, no? Non importa che Abbas nel 2013 affermò che «non c'è alcuna differenza fra i nostri obiettivi e quelli di Hamas». Il punto sta proprio qui: essere meno ripugnante di un'organizzazione terroristica che predica il genocidio non fa di te un moderato. Pretendere il contrario è un insulto al genere umano. È atto di accondiscendenza nei confronti dei palestinesi, e insulto nei confronti dei veri moderati.
Meno di un mese fa, Abbas marciava a Parigi in segno di solidarietà nei confronti dei vignettisti assassinati durante l'assalto del settimanale satirico francese Charlie Hebdo. La scorsa settimana, ordinava una indagine nei confronti di un vignettista palestinese, reo di aver raffigurato Maometto.
Sotto la presidenza di Abbas, l'Autorità Palestinese ha arrestato attivisti rei di aver postato messaggi critici su Facebook, e ha condotto in carcere palestinesi che si dichiaravano atei. Due settimane fa, uno studente di 22 anni è stato imprigionato per aver insultato il capo della federazione calcistica palestinese. La tortura è dilagante e Abbas si guarda bene dall'indire nuove elezioni, anche se il suo mandato è scaduto sei anni fa.
Lo scorso settembre a Ramallah mi sono confrontato con Alam Musa, ministro per le telecomunicazioni dell'Autorità Palestinese. Gli ho chiesto conto dell'arresto di cittadini per le loro dichiarazioni sui social media. La risposta: «non ne sappiamo niente. Sarà successo diverso tempo fa. Non in questi giorni». Il giorno successivo l'AP ha arrestato diversi palestinesi per il medesimo motivo.
Ho chiesto a Musa se l'AP ammette la libertà di espressione su Internet: «ma certo!», ha replicato; «come ministro delle telecomunicazioni, amministriamo i siti intenet e non poniamo alcuna restrizione. Di alcun tipo».
Falso: l'AP pratica la censura e ha arrestato diversi attivisti per i loro post critici su Facebook.

Di fronte a questioni di grande rilevanza come i conflitti e la pace, la società civile e la libertà di espressione su Internet sembrano di poco conto. Ma sarebbe un grave errore crederlo. La libertà di scambiare idee è la pietra miliare del progresso sociale, e costituisce una barriera contro l'estremismo. Ma come possono farsi sentire le voci moderate, se sono messe in condizioni di non manifestarsi?
Una soluzione consisterebbe nell'utilizzare la considerevole influenza politica ed economica dell'Occidente per incoraggiare effettive riforme democratiche. Al momento, gli Stati Uniti coprono un decimo dei 4.2 miliardi del bilancio dell'AP; ma di riforme neanche l'ombra.
Decenni di appoggio ai dittatori palestinesi, da Yasser Arafat a Mahmoud Abbas, lungi dal risolvere il problema dell'estremismo, l'hanno incoraggiato. Un uomo autoritario, non eletto, come Abbas, non sconfiggerà l'estremismo perseguendo i vignettisti, imprigionando le voci dissenzienti e censurando Internet.
Malgrado i rischi del caso, l'Occidente dovrebbe premere affinché si tenessero elezioni. Un leader deve godere del mandato del popolo. Affrontare il responso delle urne è preferibile al consentire ad un dittatore di regnare per sempre senza rendere conto del proprio operato.
Ma prima delle elezioni, bisogna rafforzare le istituzioni civili e sociali, ampliando lo spazio per le voci critiche o dissenzienti. Subordinare l'elargizione di centinaia di milioni di dollari al rispetto dei diritti umani, sarebbe un poderoso incentivo al cambiamento.
I tiranni che soffocano il dissenso non sono "moderati". E il mondo libero ha il dovere di pretendere che lo siano. Concedere un lasciapassare alla dittatura palestinese non serve a nessuno: men che meno agli stessi palestinesi.

* Palestinian Dictator Mahmoud Abbas Gets a Free Pass
su The Daily Beast.

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