di Evelyn Gordon*
Mi sono dilungato diverse volte su come ossessione occidentale per i rapporti fra israeliani e palestinesi finisca per perpetrare la miseria globale, distogliendo l'attenzione da situazioni umane di ben peggiore gravità: basti pensare al genocidio in Siria o nel Sud Sudan. Inoltre, questa ossessione non migliora le condizioni di vita di un gruppo che si vorrebbe aiutare. Tre articoli apparsi di recente sul Jerusalem Post chiariscono il perché.
Uno denuncia il rischio di chiusura da parte di un importante ospedale palestinesi, a causa di un debito accumulato pari a 30 milioni di dollari. Per anni, l'Autorità Palestinese (AP) ha mancato di versare fondi al Mokassed Hospital, malgrado i numerosi pazienti in cura. E questo non già perché l'AP difetti di liquidità, dal momento che per pagare generose retribuzioni alle migliaia di criminali ospiti delle carceri israeliani, i soldi certo non mancano. È una questione di priorità: nella scala dei valori palestinesi, il pagamento dei terroristi che attentano alla vita degli israeliani risulta evidentemente più importante del pagamento dei medici che cercano di curare i palestinesi.
Circa il 40% del bilancio dell'AP è rappresentato da donazioni internazionali, in prevalenza provenienti dal mondo occidentale; il quale dovrebbe esercitare pressioni sull'AP affinché modifichi le sue priorità di spesa. Ma un simile orientamento non si è mai concretizzato: l'Occidente è assorto soltanto nel misurare i comportamenti di Israele.
Soltanto di recente l'opinione pubblica si è interessata al Mokassed: per condannare la decisione del governo di Gerusalemme di non versare le imposte riscosse per conto dell'AP, rea di aver contravvenuto agli Accordi di Oslo. Tuttavia, se l'AP ottenesse domani mattina i fondi trattenuti, non c'è niente che induca a pensare che li impiegherebbe per pagare gli stipendi arretrati ai medici e al personale dell'ospedale, non avendolo fatto in tutti gli anni passati. Esercitando pressioni su Israele non risolverà il problema: esercitando pressioni sull'AP, sì. Ma dal momento che l'Occidente non si cura dei palestinesi, i malati continueranno a soffrire.
Nel secondo articolo, il ministro della Difesa Moshe Ya'alon ha criticato l'AP per l'insuccesso nell'assumere il controllo dei valichi della Striscia di Gaza, malgrado gli impegni assunti dopo l'ultima guerra della scorsa estate. Questo disimpegno ha notevolmente rallentato la ricostruzione di Gaza, dal momento che nelle intenzioni delle Nazioni Unite e dei donatori occidentali, ciò era subordinato appunto all'assunzione di una precisa responsabilità da parte dell'AP, onde scongiurare il rischio di un impiego differente dei materiali da costruzione da parte della macchina da guerra di Hamas.
Ma dal momento che Israele non ha mai sigillato i suoi confini con l'enclave palestinese controllata da Hamas - da agosto ha spedito a Gaza ben 62.000 tonnellate di materiali da costruzione, nonostante l'AP si sia dileguata - i disagi si sono concretizzati soprattutto sul versante egiziano. Il valico di Rafah risulta ermeticamente chiuso da mesi, perché il Cairo considera Hamas un'organizzazione terroristica e si rifiuta di riaprire il valico, tuttora controllato dagli estremisti palestinesi.
A novembre ciò ha prodotto una orrenda conseguenza: una bambina di 11 anni è morta perché la chiusura del valico di Rafah gli ha impedito di entrare in Egitto per beneficiare di cure mediche. Perché non si è recata in Israele? perché Hamas si rifiuta di dialogare con Gerusalemme, sicché le richieste di permesso per cure mediche sono inviate per il tramite dell'AP. Secondo i genitori di Razan al-Halkawi, l'AP si è rifiutata di inoltrare la richiesta perché in quel momento era alle prese con le solite schermaglie con Hamas. In parole povere, l'AP si è rifiutata di adoperarsi affinché la bambina ricevesse cure mediche: in Egitto piuttosto che in Israele. E la bambina è deceduta.
In qualità di principale sostenitore finanziario dei palestinesi, l'Occidente potrebbe esercitare pressioni sull'AP affinché fosse superato questo atteggiamento. Ma dal momento che Israele non riesce per ciò ad essere biasimato, non se ne occupa.
Terzo articolo: migliaia di palestinesi che hanno acquistato una casa nella nuova città palestinese di Rawabi non possono trasferirsi perché la città non è dotata di impianto idrico. Perché? perché i progetti idrici della West Bank abbisognano (secondo gli Accordi di Oslo sottoscritti da Israele e dall'OLP, NdT) di un permesso rilasciato da un Comitato misto israelo-palestinese, a cui l'AP non partecipa da oltre cinque anni. Evidentemente, preferisce negare al suo popolo migliori condizioni di vita, pur di non collaborare con le autorità israeliane. Ancora una volta, l'Occidente potrebbe utilizzare il suo peso economico per fare pressioni sull'AP, consentendo l'abitabilità di Rawabi. Ma non lo fa: perché non potendo essere biasimato Israele, non ha alcun incentivo.
In poche parole, in diversi casi l'Occidente avrebbe potuto utilizzare la sua influenza sull'AP per migliorare le condizioni di vita dei palestinesi, ma non l'ha fatto, perché è ossessivamente impegnato a scrutare il comportamento di Israele. Alla fine le vittime principali non sono gli israeliani, ma gli stessi palestinesi.
* The Palestinian Victims of the West’s Israel Obsession
su Commentary Magazine.
Nessun commento:
Posta un commento