di Jonathan Schanzer*
Lunedì il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha visitato il Kuwait per issare la bandiera palestinese sull'ambasciata dell'ANP a Kuwait City, per la prima volta dopo 22 anni. Il gesto era atteso da tempo: l'ambasciata è stata chiusa come ritorsone per la decisione del precedente leader palestinese Yasser Arafat di appoggiare il dittatore iraqeno Saddam Hussein, dopo la sua invasione del Kuwait del 1990. Ma anche se Abbas ha seppellito l'ascia di guerra con i kuwaitiani, le lancette della politica sono state portate indietro ai tempi di Arafat.
La visita di Abbas nel Kuwait giunge due giorni dopo le dimissioni forzate del suo primo ministro riformista, Salam Fayyad. La cui uscita di scena non sorprende nessuno di quelli che conoscono bene l'inefficienza dell'Autorità Palestinese (AP): il programma di Fayyad irritava puntualmente Abbas. A malapena i due leader palestinesi si sono parlati per un anno, stando a quanto sostiene un consulente dell'AP (Fayyad, ad esempio, era contrario al proposito di Abbas di recarsi alle Nazioni Unite per conseguire la condizione di stato osservatore non membro, sostenendo che i palestinesi avrebbero fatto meglio a continuare nel costruire le istituzioni fondamentali). La tensione fra i due era la perfetta rappresentazione di un sistema di pesi e contrappesi in essere nell'AP.
Con l'uscita di scena di Fayyad, Abbas sembra aver rimosso un impedimento istituzionale al suo potere: è il capo sia dell'OLP che del Fatah, la fazione maggioritaria; ed è presidente decaduto da ormai quattro dell'AP, con elezioni che non si scorgono all'orizzonte. Dopo vent'anni di tentata democrazia palestinese, e con la costruzione di uno stato avviata subito dopo la liberazione del Kuwait, è difficile negare che Abbas sembra terribilmente simile all'aurocratico Arafat: se non fosse per la keffiyeh, naturalmente.
Ma Abbas non è sempre stato un despota. Quando fu eletto nel 2005, si propose come il contrappeso della leadership corrotta e manipolativa di Arafat. Ma le cose sono peggiorate dopo il violento colpo di stato di Hamas nella Striscia di Gaza del 2007. Stati Uniti ed Israele hanno cercato di rafforzare il traballante Abbas nel West Bank, dotandolo di armi, addestramento, intelligence e denaro per isolarlo dall'espansione di Hamas. Nel tempo, non solo il leader palestinese ha trovato il passo giusto, ma ha anche ristretto il controllo del West Bank.
La libertà di stampa, per esempio, è costantemente minacciata. L'AP ha arrestato numerosi giornalisti, e bloccato diversi siti che si mostravano critici nei confronti dell'amministrazione del West Bank. Di recente Anas Awwad, di 26 anni, è stato condotto in carcere - sebbene sia stato in seguito rilasciato - per aver postato su Facebook un messaggio che ironizzava su Abbas. Da notare che il governo di Ramallah si è appellato nella circostanza all'articolo 195 del codice penale della Giordania, che prevede il reato di critica del sovrano.
Ne' Abbas tollera gli sfidanti politici: basta chiedere a Mohammed Dahlan, capo della sicurezza ai tempi di Arafat, che ebbe l'ardire di sfidare il monopolio di Abbas nella politica palestinese. Abbas rispose con una campagna senza sosta, lanciata all'insegna del contrasto alla corruzione, con cui congelò i beni di Dahlan in casa e all'estero. Alla fine Abbas espulse Dahlan dal Fatah, revocandogli in seguito il mandato parlamentare. Anche Yasser Abd Rabbo, un decano dell'OLP, che si rifiutò di appoggiare le manovre alle Nazioni Unite di Abbas dello scorso novembre; e l'alto dirigente Samir Mashharawi, che sosteneva apertamente Dahlan, sono stati rimossi dai rispettivi incarichi.
Detto in parole brutali: c'è ben poca libertà politica nel West Bank di questi tempi. Il presidente palestinese non ha oppositori politici. Non ha un vice. Non ha apparentemente successori. E non consente un salutare scambio di idee politiche nella vita pubblica. Con l'uscita di Fayyad, il suo dominio della politica locale del West Bank appare completo.
A peggiorare le cose, il diritto palestinese prevede che, qualora il 78enne Abbas non fosse in grado di adempiere ai suoi compiti, la successione spetterebbe per 60 giorni al deputato Aziz Dweik, speaker del parlamento, e membro di Hamas. Questo senza dubbio genererebbe una crisi politica in seno all'AP e probabilmente indurrebbe Washington a tagliare i fondi. A questo proposito, i deputati Peter Roskam e Dan Lipinski stanno guidando una commissione bilaterale nel Congresso americano che sta spingendo Abbas a modificare questa norma in modo da escludere Hamas, identificando la prossima generazione di leader, impegnati a compiere tutti gli sforzi diplomatici per raggiungere la pace.
Ma non finisce qui. Il Jerusalem Post ha riportato che Abbas non sta escludendo l'idea di autonominarsi primo ministro al posto del dimissionario Fayyad, il che aumenterebbe l'ansia circa la successione a livelli mai sperimentati prima. Sicché, con l'uscita di scena di Fayyad, dopo due decenni di passi incerti, la politica palestinese è daccapo al punto di partenza: con un uomo - questa volta giacca e cravatta, anziché in keffiyeh - che comanda su un popolo che non solo ansima disperatamente indipendenza, ma soprattutto cambiamento.
* Foreign Policy.
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