lunedì 8 aprile 2013

Il ruolo di Arabia Saudita e Qatar nella "primavera araba"

di Samuel Westrop*

Quando si parla di Medio Oriente, molti giornalisti, anziché far parlare i fatti, sono soliti di frequente abbandonarsi a previsioni idealistiche e a dichiarazioni radicali. Nessun giornale o se è per questo governo ha previsto lo scoppio della "primavera araba", ma una volta che essa si è concretizzata, la maggior parte dei media si è scatenata nel prevedere che un'epoca di prosperità, di eguaglianza e di democrazia avrebbe trasformato il Medio Oriente in una regione moderna, con aspirazioni avanzate.
Il Guardian, per esempio: era così disperato di giustificare il suo sostegno iniziale per la "primavera araba", che di recente ha realizzato un editoriale impassibile con cui ha sostenuto che la presa del potere da parte di Morsi è stato un gesto necessario per garantire le aspirazioni democratiche dell'Egitto.
L'ultima giornalista a cimentarsi in queste acrobazie è stato Tim Montgomerie, che di recente ha vergato un articolo per il Times, dal titolo "Il mondo arabo deve agire; o affrontare il disastro", in cui scrive:
«A meno che gli stati del Golfo si decidano a sborsare la loro quota di aiuti, il problema dei rifugiati accenderà l'estremismo in tutta l'area. I paesi che devono versare fondi sono le potenze petrolifere della regione, a partire dall'Arabia Saudita e dal Qatar. David Cameron teme che l'indisponibilità a rispondere alle richieste dell'opposizione moderata in Siria possa rendere gli elementi estremisti sempre più egemoni. E' già in atto il processo di radicalizzazione delle forze di opposizione ad Assad. Se non saranno inviati immediati aiuti ai siriani, una crisi dei rifugiati di enormi proporzioni non solo provocherà una tragedia umanitaria diffusa, ma alimenterà l'estremismo in Giordania, in Libano e in tutto il Medio Oriente. La posta in gioco è molto alta».

A Montgomerie forse sfugge che i soggetti finanziatori dell'estremismo siriano sono proprio l'Arabia Saudita e il Qatar: gli stati che dovrebbero attivarsi e fornire una soluzione.
Una volta che lo scorso anno la possibilità di disordini nel Golfo si è spenta, il governo saudita ha incominciato, per usare le parole di Joshua Jacobs del Institute for Gulf Affairs, a «scatenare il loro potere clericale morbido».
La TV di stato di Riad presenta sistematicamente religiosi di stampo jihadista. Lo sceicco Adnan al-Arour, ad esempio, è un salafita siriano che invoca la guerra santa contro il regime di Assad. Beneficia di una esposizione di primo piano sulla TV saudita. "Elementi estremisti", in Siria, come la Bridata dei Sostenitori di Allah, hanno dichiarato la loro fedeltà a questo predicatore sostenuto dai sauditi.
L'Arabia Saudita, minacciata dall'egemonia iraniana, è determinata a detronizzare Assad, sostenuto da Teheran, rimpiazzandolo con un regime filo-sunnita. L'arma prescelta sembra essere il jihad di stato.

Il Qatar sembra ormai il primo sostenitore della Fratellanza Musulmana: dal Cairo a Gaza, passando per i combattenti della Fratellanza in Siria. Al Jazeera, l'influente canale televisivo di proprietà del governo qatariota, ha assegnato la copertura della Siria ad Ahmed Ibrahim, fratello di Anas al-Abdah, un membro del Consiglio Nazionale Siriano controllato dai Fratelli Musulmani. Non sorprende che Al Jazeera abbia prodotto alcuni articoli all'acqua di rose sugli islamici che si oppongono ad Assad in Siria.
Secondo alcuni articoli, in Siria sono proprio i jihadisti che stanno ricevendo buona parte delle armi inviate dall'Arabia Saudita e dal Qatar. L'Independent osserva che un gruppo estremista islamico, Jabhat al-Nusra, dichiarato organizzazione terroristica dagli Stati Uniti alla fine dello scorso anno, e che rivendica un'alleanza con Al Qaeda, è diventata una delle forze belliche meglio dotate, proprio grazie alla fornitura di armi e denaro da parte di Arabia Saudita e Qatar.

Non è l'indisponibilità di queste due potenze regionali ad alimentare l'estremismo in Medio Oriente: al contrario, è proprio la loro azione a fomentarlo. Devono fare un passo indietro, non un passo avanti. E' l'appoggio di questi stati al jihadismo e ad altri estremismi che producono i tumulti e lo spargimento di sangue.
Montgomerie non solo scrive per il Times, ma è anche ritenuto uno dei conservatori più autorevoli del Regno Unito. I suoi articoli sono giudicati un espressione dell'orientamento del governo, sebbene più morbidi della linea ufficiale.
Se io fossi un jihadista, mi sentirei molto a mio agio. Se fossi un siriano che si oppone al dispotismo, mi sentirei molto solo. Se fossi Tim Montgomerie, smetterei di parlare.

* Gatestone Institute.

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