lunedì 16 dicembre 2013

Il profilo legale di Giudea e Samaria

Da anni, il mondo considera Giudea e Samaria un territorio palestinese occupato illegalmente da Israele. Ma ora un gruppo di giuristi israeliani e di tutto il mondo sta combattendo una battaglia legale per il riconoscimento della verità storica e giuridica.

Se la legittimità internazionale dell'impresa degli insediamenti fosse un cavallo, si potrebbe affermare è che rimasto troppo tempo fuori dalla stalla. Chi occupa le stanze del potere in tutto il mondo - dalla Casa Bianca di Barack Obama e John Kerry, alle Nazioni Unite - ha per anni liquidato Giudea e Samaria come territori palestinesi attualmente sotto occupazione.
L'atteggiamento ostile verso gli insediamenti è una conseguenza diretta e immediata di questa logica. Se dovessimo compiere una generalizzazione, dovremmo dire che il mondo ha adottato la retorica palestinese per definire lo status legale dei Territori. Anche chi negozia per conto dello stato israeliano, uomini e donne che ufficialmente sottoscrivono la tesi secondo cui Giudea e Samaria - la culla della civiltà e del popolo ebraico - non siano territori occupati; hanno da tempo cessato di affermarlo in pubblico, per non sopportare la seccatura di elencare la lunga lista di considerazione legali e storiche che supportano questa tesi.
Sebbene possa sembrare che questo treno ha lasciato da tempo la stazione, siamo sorpresi nell'apprendere d'un tratto che da alcuni mesi è stata promossa una campagna finalizzata a svelare la "verità storica e legale". È un'iniziativa promossa da centinaia di giuristi da Israele e da tutto il mondo, che nulla a che vedere con le argomentazioni "dei diritti dei nostri avi", o del "sionismo", che trovano scarsi sostenitori a livello internazionale e nell'Alta Corte di Giustizia.
L'estate scorsa, organizzazioni di destra e coloni hanno raggruppato un numero di autorevoli esperti di diritto - inclusi coloro che non sono proprio considerati simpatizzanti delle posizioni di destra. Questi individui hanno avviato una missione finalizzata a modificare la terminologia e le argomentazioni legale impiegate dalla sinistra; inclusi gruppi come Peace Now, che hanno fino ad ora condotto la discussione.


La battaglia contro la narrativa

I cosiddetti "nuovi giuristi" si stanno in effetti limitando a rimuovere la polvere da argomentazioni che circolarono e furono accettate negli anni successivi alla Guerra dei Sei Giorni. Questa linea di pensiero respinge categoricamente la definizione di "territori occupati". Lo stato di Israele ha conquistato Giudea e Samaria nel 1967 in conseguenza di una guerra di auto-difesa, ma dal punto di vista legale questi territori non sono occupati, dal momento che la potenza straniera che deteneva questi territori fra il 1948 e il 1967 (Giordania), lo faceva illegalmente.
Questi giuristi rilevano che, eccezion fatta per Gran Bretagna e Pakistan, la comunità internazionale si rifiutò di riconoscere l'annessione giordana del West Bank. Pertanto, la condizione legale di questi territori è "contesi". Dal punto di vista del diritto internazionale, c'è una enorme differenza fra territori "occupati" e territori "contesi".
Chi sostiene questa argomentazione - e diversi giuristi lo fanno - con quello che è riferito come "il diritto storico del popolo ebreo alla sovranità sulla Terra di Israele", aggiunge un ulteriore elemento legale a sostegno della loro tesi: «richiedendo il diritto a questa sovranità, che eclissa ogni contro-richiesta da parte palestinese».
Giuristi come la professoressa Talia Einhorn, o il professor Eliav Shochetman, fra i più attivi in questo gruppo di esperti di diritto, notano che questo diritto è stato riconosciuto dalla comunità internazionale ai tempi del mandato britannico in Medio Oriente. Questo documento legale garantisce e prevede diritti nazionali al popolo ebraico; diritti ribaditi nell'articolo 80 dello statuto delle Nazioni Unite.
«Pertanto, quando il segretario generale delle Nazioni Unite afferma che "gli insediamenti sono illegali e rappresentano un ostacolo alla pace", o quando il presidente dell'ANP Mahmoud Abbas impone ad Israele di smantellare gli insediamenti costruiti sul territorio palestinese dal 1967 in poi, in quanto illegali; e quando il Segretario di Stato USA John Kerry si riferisce agli insediamenti come illegittimi; tutti essi basano le loro affermazioni su una visione legale errata dei fatti», conclude Hagai Winitzki del Sha'arei Mishpat College.


Una causa legale

Il rinascimento che questi "nuovi giuristi" stanno tentando di infondere nella discussione sulle rivendicazioni di Israele per la Giudea e la Samaria, hanno campeggiato per anni sul sito del ministero degli Affari Esteri. È anche stato articolato in una dottrina codificata da parte dell'ex presidente della Corte Suprema, Meir Shamgar. Questo caso si basava su una serie di risoluzioni internazionali e di fatti storici che sono stati praticamente rimossi dalla memoria pubblica, ma che negli anni più recenti sono stati praticamente resuscitati da diverse organizzazioni.
Due di questi gruppi, che hanno cominciato ad attivarsi di recente, stanno catturando la maggior parte delle attenzioni. In primo luogo, c'è il Regavim Institute's Center for Zionism, Justice, and Society. Da anni il Regavim fornisce assistenza nelle cause legali intentate da organizzazioni di sinistra nei confronti degli insediamenti in Giudea e Samaria. Impressionò particolarmente il sistema giudiziario avanzando una propria petizione contro gli insediamenti palestinesi, nel tentativo di difendere quelli ebraici in quell'area.
L'altra organizzazione è il Legal Forum for the Land of Israel, fondato originariamente come gruppo dedicato ad adire alle vie legali per impedire il piano di disimpegno.
La seduta inaugurale tenta dal Center for Zionism ha avuto luogo alcune settimane fa a Gerusalemme. Nell'occasione è stato promosso un sensazionale nuovo libro che approfondisce il diritto di proprietà e il diritto internazionale in Giudea e Samaria. Il libro, di 560 pagine, include diversi articoli da parte di rinomati studiosi del diritto come il professor Haim Sandberg e il professor Einhorn. Uno degli articoli che vi campeggiano è stato scritto dal colonnello riservista Daniel Reisner, esperto di diritto internazionale e già capo del dipartimento di diritto internazionale presso il Military Advocate General's Corps. Oggi, Reisner è partner dello studio legale Herzog Fox Neeman.
La posizione di Reisner è interessante non solo per la sua esperienza, ma anche perché si tratta di un giurista non allineato con la destra politica, e che riconosce che anche i palestinesi vantano proprie rivendicazioni su Giudea e Samaria. Nel suo articolo, Reisner esprime comprensione per la posizione ufficiale di Israele, poiché «dal momento che i territori di Giudea e Samaria non hanno mai fatto legittimamente parte di alcuno stato arabo, anche considerando il regno di Giordania, è impossibile stabilire che Israele sia un occupante nel senso tecnico-giuridico del termine. Senza considerare che gli ebrei hanno un legame storico, legale e fisico alle terre di Giudea e Samaria».
Reisner è un giurista navigato, che ha preso parte a tutti i principali negoziati dagli Accordi di Oslo in avanti. Oggi lavora come consulente per organizzazioni impegnate nella pace. Crede che la posizione adottata da molti esperti di diritto internazionale, avversa alle posizioni di Israele, non poggi sulla debolezza delle argomentazioni legali dello stato ebraico; quanto sia il risultato del fatto che molti stati al mondo hanno adottato la retorica palestinese secondo cui le terre di Giudea e Samaria sarebbero appartenute al popolo palestinese: «Benché sembri che la battaglia sia persa; ciò non vuol dire che sia il caso di abbandonare le reali argomentazioni giuridiche», ha affermato. «Israele non ha strappato il controllo di queste terre ad altri stati perché il controllo della Giordania del West Bank era illegale», aggiunge. «Se il controllo israeliano della Tomba di Rachele a Betlemme assunto nel 1967 era illegale perché è illegittimo appropriarsi con la forza di un territorio; ne consegue che anche l'occupazione giordana iniziata nel 1948 soffre dello stesso difetto. Al contrario, se si ritiene che l'occupazione giordana del 1948 sia legittima perché questo territorio non era in precedenza sotto la sovranità di alcun altro stato; di conseguenza ciò non fa che rafforzare le argomentazioni israeliane», conclude.




Da Gerusalemme ad Al-Khader

Reisner suggerisce di non considerare Giudea e Samaria come entità a se' stanti: «non c'é un diritto uniforme che si applica in egual modo a Ramallah - dove non c'è mai stata una presenza ebraica - ad Hebron - dove una presenza secolare è stata stroncata da un orrendo massacro. Non c'è un diritto uniforme che si applica egualmente ad Al-Khader, che era e rimane un villaggio arabo, come agli insediamenti di Gush Etzion, i quali al pari della Tomba di Rachele sono stati esclusivamente ebraici da prima della Guerra di Indipendenza (del 1948, NdT). E naturalmente non c'è un diritto uniforme che si applica egualmente alla Città Vecchia di Gerusalemme, il luogo storico che ha ospitato i due templi ebraici, e ai dintorni di Abu Dis».
In aggiunta, Reisner argomenta un sostegno giuridico per la distinzione fra territori e specifici siti in Giudea e Samaria. Questo ragionamento trova ospitalità nella Risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, che parla di «ritiro delle forze armate israeliane da territori conquistati» nell'ambito della Guerra dei Sei Giorni. Non parla di ritiro "dai" territori: «ciò conferma come non vi sia enfasi nel ritirarsi da tutti i territori acquisiti durante la guerra», argomenta Reisner. «In ogni caso, nonostante ciò che afferma l'opinione pubblica, non è possibile etichettarci come occupanti di queste terre senza alcun diritto, e chi ignora la storia sta semplicemente deformando la verità».
Questo argomento, per quanto fondato possa essere, risulta adesso rilevante; ora che il mondo e persino lo stato di Israele adottano un diverso linguaggio? non è troppo tardi? Ecco Reisner: «il conflitto assume una dimensione politica, e una legale. Ciononostante, la soluzione al conflitto non sarà applicata ad ambo le dimensioni, ma a mio avviso occorrerà un approccio completamente differente: un equo compromesso che nel tempo creerà una realtà stabile. Le probabilità che un contendente riesca a convincere l'altro ad accettare posizioni legale e politica confliggenti sono nulle».
Ciò malgrado, Reisner è convinto che «Israele deve sostenere le sue tesi coerentemente dal punto di vista legale, storico e politico; semplicemente perché la sua tesi è sostenuta dai fatti. Sarà la soluzione basata sulla verità? è la verità rilevante ai fini del negoziato? non ne sono completamente sicuro».
Se ci sono argomentazioni legali da avanzare, perché lo stato di Israele non le adotta nelle discussioni nell'ambito dei negoziati di pace? «Perché nelle stanze che ospitano i negoziati sono pressoché irrilevanti. Il diritto internazionale ha sempre giocato un ruolo marginale negli accordi fra israeliani e palestinesi. Ma alla fine si tratta dell'aspetto con cui le due parti devono conciliarsi. Le argomentazioni legali forniscono un valido appiglio, e fino ad ora sono state un argomento marginale. Tuttavia, queste rivendicazioni non si sono neutralizzate o indebolite, perché spetta agli interessati avanzarle con vigore. Se si dispone della verità, e si crede nella verità, bisogna urlarla!»


Basta giustificazioni

Alan Baker, procuratore e membro del Comitato Levy istituito nel 2012 per esaminare lo stato legale degli outpost (non autorizzati dal governo di Gerusalemme, NdT) e degli insediamenti, e che è giunto alla conclusione che Giudea e Samaria non sono territori occupati; echeggia buona parte delle argomentazioni di Riesner. Baker, ex consulente legale del ministero degli Esteri e già ambasciatore in Canada, presiede un nuovo gruppo di esperti di diritto internazionale che ha già preso contatti con Kerry e con il responsabile della politica estera europea Catherine Ashton, denunciando le loro posizioni «errate e fuorvianti».
Due settimane fa Baker era a Parigi, dove ha incontrato diecine di altri giuristi esperti provenienti da tutta Europa, e che condividono questa posizione. Il gruppo includeva Yaakov Neeman, ex ministro della Giustizia di Gerusalemme; la baronessa Ruth Deech, membro della Camera dei Lords britannica e docente di diritto ad Oxford; e Meir Rosenne, ex ambasciatore israeliana in Francia e Stati Uniti. «Il governo israeliano per anni si è astenuto dall'intraprendere una campagna informativa basata sul sostenere i propri diritti», afferma Baker; «al contrario, ha intrapreso una campagna di comunicazione basata sulle scuse proposte. La cosa corretta da fare era agire senza remore proponendo i propri diritti: i diritti del popolo ebraico da sempre residente nella Terra di Israele. Gli ebrei sono la popolazione qui di più antico insediamento, ma non sempre lo stato di Israele lo menziona. Non sempre ricorda il fatto che queste terre sono calpestate dal popolo ebraico da tempi immemorabili. E di rado menziona documenti internazionali come la Dichiarazione Balfour, la Dichiarazione di Sanremo, lo statuto istitutivo dell'ONU, e il mandato britannico approvato dalla Lega delle Nazioni; tutti elementi fondamentali nel confermare il diritto degli ebrei (in Giudea e Samaria, NdT).
Aspetto più importante, si è astenuto dall'enfatizzare che quello di cui stiamo discutendo non è occupazione».


Stiamo parlando di storia. Ma chi se ne occupa più, al giorno d'oggi?

Baker: «Se iniziamo a farlo noi, gli altri ci seguiranno. È un processo che richiede del tempo».

Anche la Procura di Stato è completamente slegata da questo approccio quando difende la posizione dello stato davanti all'Alta Corte di Giustizia...

Baker: «Esiste un problema con la Procura di Stato. C'è un gruppo di persone  che ha una visione a senso unico quando si parla della condizione giuridica dei territori contesi e dei coloni».

Ma si suppone che essa sia la voce dello stato...

Baker: «Non esattamente. Il portavoce dello stato è il Ministero degli Esteri e l'Ufficio del Primo Ministro. Queste persone implementano la legge: è il loro lavoro. Non sono incaricati di fare propaganda o politica. Siamo d'accordo con i palestinesi che il destino dei territori deve essere il punto di arrivo di negoziati, per cui da questo punto di vista, dobbiamo raggiungere un compromesso. Ma da qui ad allora, e per il bene della nostra gente, c'è una cosa che si chiama "diritti" e che dobbiamo sostenere nelle discussioni».
«È inconcepibile che il mondo intero ripeta il mantra a proposito di Giudea e Samaria come territori occupati, quando dal punto di vista fattuale non c'è alcun sostegno legale a supporto di ciò. Quando Kerry argomenta, ancor prima che i negoziati si concludano, che non abbiamo alcun diritto nei Territori di cui stiamo discutendo, e che gli insediamenti sono illegittimi, di fatto sta adottando la posizione palestinese e deragliando i negoziati. Anche se sei un Segretario di Stato, non devi arrecare pregiudizio ai negoziati affermando che gli insediamenti sono illegittimi».



Bezalel Smotritz, un esponente di spicco del Regavim, afferma che sebbene il motto della sua organizzazione sia "la migliore difesa è l'attacco", quando argomenta le sue ragioni davanti all'Alta Corte di Giustizia; ammette che assieme ai suoi colleghi è stato molto impegnato nello "spegnere incendi": «la questione degli insediamenti in Giudea e Samaria esiste oggi entro i limiti di una situazione giuridica insostenibile, risultata il sottoprodotto della delegittimazione giudiziale condotta per anni dalla sinistra nei confronti delle comunità ebraiche di Giudea e Samaria. Senza considerare che la legge applicata oggi negli insediamenti risulta datata e non ai passi dei tempi moderni. Stiamo parlando di residui dell'impero ottomano, del mandato britannico in Medio Oriente, della legge giordana, e dei decreti dell'esercito israeliano».

Nadav Shragai, "The legal case for Judea and Samaria", su Israel Hayom del 13 dicembre 2013.

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