L'economia israeliana continua a presentare segni di estrema vitalità e stabilità. Il Credit Default Swap, che misura il grado di rischiosità finanziaria di un governo, è sceso a meno di 70 punti base: è il costo che occorre sostenere per assicurarsi dal rischio di insolvenza sovrana. A titolo di riferimento, tre anni fa il CDS di Gerusalemme sfiorava i 200 punti base. In Italia oggi il CDS è pari a 115 punti base.
L'elevata solvibilità del piccolo stato ebraico è testimoniata dai "parametri di Maastricht": il deficit di bilancio è inferiore al 3% del PIL, mentre il debito pubblico, in continuo calo in termini relativi grazie alla crescita economica, quest'anno si attesterà al 67.5% del prodotto interno lordo. Israele avrebbe tutti i requisiti per chiedere di entrare a far parte dell'Unione Monetaria Europea.
Si parlava dei prodigi dell'economia israeliana. Dopo il boom nel primo trimestre, il PIL è cresciuto dello 0.5% nel secondo quarto del 2015 (più della Germania, per intenderci). Negli ultimi vent'anni il PIL ha ostentato un'espansione annualizzata del 3.8%: un boom su cui non si è scritto a sufficienza.
Questa formidabile performance è il risultato di continui investimenti in ricerca, e di una crescita costante della forza lavoro: un mix ideale, secondo gli economisti. Non sorprende che Israele attiri sempre più persone dal resto del mondo, a caccia di un migliore tenore di vita; o semplicemente curiose di osservare da vicino questo piccolo ma brillante stato: ieri la Israel Airport Authority ha reso noto che nel solo mese di agosto circa 2 milioni di passeggeri transiteranno per lo scalo internazionale di Tel Aviv. Trattasi di un nuovo record assoluto, agevolato dall'adesione di Gerusalemme al programma Open Skies, che aumenterà il numero di operatori che atterreranno al Ben Gurion, riducendo oltretutto il costo dei voli.
I palestinesi dispongono di una opportunità unica per beneficiare del boom economico israeliano. Ha colpito favorevolmente l'opinione pubblica, il recente evento tenutosi a Nazareth, in Galilea, dove diverse imprese sono letteralmente coltivate in "incubatori di crescita" che presto le consegnano alla Start Up Nation. Waze, acquisita di recente da Google, è nata da queste parti.
La particolarità del Nazareth Business Incubator Center, è che vede lavorare congiuntamente giovani - pochi hanno più di 30 anni, e per metà sono di sesso femminile - israeliani e arabi, come testimoniano le foto. Sono laureati al Technion, o all'Università Ebraica di Gerusalemme, e hanno fame di successo. La loro emancipazione e affermazione coinciderebbe con l'ulteriore crescita di Israele, ma soprattutto con una soluzione creativa e pacifica all'annoso conflitto che da decenni contrappone israeliani e palestinesi.
È questa l'economia che ci piace: quella che crea opportunità e benessere, e che fa superare divisioni e incomprensioni. Non l'economia del lusso sfrenato, come quella che da alcuni mesi sembra prevalere a Gaza, dove - se n'é accorto persino Haaretz, il quotidiano arabo stampato in ebraico, sempre ostile nei confronti di Israele (al punto, si dice, che l'unico governo che ha appoggiato sia stato quello del Mandato Britannico) - i resort di lusso si aprono a cadenza periodica, e dove i nuovi palestinesi ricchi trascorrono pigramente nell'ozio le loro giornate; noncuranti del fatto che le tonnellate di materiali da costruzione che ogni giorno entrano nella Striscia di Gaza, sono destinate a tutt'altri fini, che non alla ricostruzione dell'enclave palestinese.
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