venerdì 24 marzo 2017

Il Walled Off Hotel conferma che la "Palestina" è una patacca

Continua la buffa vicenda dell'albergo voluto e finanziato da Bansky a Betlemme, fra l'entusiasmo iniziale e la cautela successiva dei filopalestinesi. Su Facebook e qui su Blogspot abbiamo immediatamente segnalato come il costoso albergo dell'eccentrico artista, costituiva un clamoroso autogol per la "causa". Non a caso nei forum antiisraeliani si leggono parole di fuoco all'indirizzo della struttura ricettiva; l'ennesima, peraltro, nei territori palestinesi. Il recente resoconto fotografico di Daily Beast aggiunge ulteriore benzina sul fuoco, rivelando testimonianze visive che abbiamo già avuto modo di apprezzare negli anni passati; è solo che non era mai capitato di scorgere, nel museo di una istituzione sulla carta filopalestinese, una chiara prova della presenza millenaria del popolo ebraico in quella che oggi i benpensanti chiamano "Palestina".
La Palestina è sempre esistita: perlomeno da quando Adriano così ribattezzò ("Syria Palaestina"), in spregio agli ebrei che la popolavano, nel 135 dopo Cristo, le province giudaiche dell'impero romano. Le stesse disposizioni cambiarono il nome di Gerusalemme in Aelia Capitolina, sancendo il divieto per il popolo ebraico di risiedere nella Capitale Eterna.
Ma torniamo al nostro simpatico alberghetto, e lasciamo la parola all'imprescindibile
Elder of Ziyon, del cui resoconto ci prendiamo la licenza di tradurre.

Diamo dunque un'occhiata a questi famosi poster ospitati nel Museo Bansky palestinese.



Questo è chiaramente un poster sionista. È stato realizzato e pubblicato dalla Bezalel Academy of Arts and Design nel 1929.


Nel 2009 David Tartakover, israeliano vincitore del premio Nobel, prese il frontespizio del passaporto di suo nonno, e ci stampò sopra le seguenti parole: «il 21 ottobre 1938 i miei avi lasciarono Vienna, per recarsi in Palestina». Il passaporto di David e Rebecca Tartakover riportano una svastica e la lettera «J», che identificava il titolare come ebreo ("Jew").
Lo propose come opera da esporre ad una mostra in Grecia, ma la proposta fu rigettata come troppo controversa.
È evidentemente una testimonianza del sionismo.


Questo poster raffigura una linea di navigazione che collegava la Palestina. Non c'è nulla di "palestinese", nel senso oggi assegnato a questo aggettivo, al di là del cammello stilizzato, più che altro una raffigurazione occidentale che non una manifestazione della realtà effettiva.


Questo è un famoso poster sionista del 1936, saccheggiato da anni dalla propaganda araba.


Un altro poster sionista che nel 1938 invitava a trascorrere le vacanze a Nahariya.



Sono illustrazioni che accompagnano lo spartito di due canzoni di un secolo fa. Il testo indica che gli autori usavano il termine "Palestina" come raffigurazione di un luogo esotico; la canzone «Costruire un palazzo» parla di una ragazza, di nome Alice: un nome che di arabo evidentemente ha ben poco...
Il compositore di «My Rose of Palestine» è stato Abe Olman, il cui nome originario era Abraham Olshewitz.

Nessuno di questi poster può essere lontanamente arabo-palestinese. E poi c'è questo:


Questo è un poster realizzato nel 2005 dal BDS, con un chiaro intento minaccioso.
Per cui dei poster mostrati nel museo visitabile nel Walled Off Hotel, quasi tutti sono palesi testimonianze del sionismo degli anni Venti e Trenta, e in alcuni casi, grottesche rappresentazioni - un po' kitsch - della Palestina da parte di autori americani dell'epoca. Soltanto uno è effettivamente arabo, ma non celebra la "Palestina": è semplicemente ferocemente antiisraeliano.
Bansky è noto per essere filopalestinese, tuttavia questa esposizione mostra soltanto che il popolo ebraico abita queste terre da sempre, e che gli arabi hanno sempre cercato invano di scalzarli.

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