domenica 9 dicembre 2012

I palestinesi non imparano mai

di Emanuele Ottolenghi*

Il voto alle Nazioni Unite che ha avanzato la condizione dell'OLP a stato osservatore non membro non ha fatto nulla per far progredire la condizione della questione palestinese. Al contrario, ripete un vecchio copione della storia: anziché cercare un compromesso con Israele, i leader palestinesi ripongono il loro destino nelle mani di altri, ingenuamente credendo che essi consegneranno loro ciò che non sono in grado di conseguire.
Quando gli stati mondiali si riunirono all'ONU nel 1947 per votare il piano di partizione del mandato britannico in Medio Oriente in due stati - uno arabo, uno ebraico - i leader palestinesi si fidarono della Lega Araba, opponendosi all'accordo, convinti dagli eserciti arabi che avrebbero ottenuto con la forza tutto il territorio. Ma non andò così.

Una volta persa l'occasione di ottenere uno stato arabo, i leader palestinesi si affidarono ai fautori del nazionalismo arabo, che puntava a distruggere Israele. Anziché rivolgersi alla Giordania - che occupò il West Bank e Gerusalemme Est - e all'Egitto - che conquistò Gaza - chiedendo loro di trasformare questi territorio in stato di Palestina; i leader palestinesi si fidarono degli arabi, confidando in una nuova guerra, da cui questa volta sarebbero usciti vincitori.
Ma così non fu: nel 1967 Israele respinse l'attacco combinato del mondo arabo e rilevò ciò che residuava dell'antico Mandato britannico.
Cinquant'anni di guerre perdute inducono il ceto politico a rivedere il proprio atteggiamento mentale: si pensi al comportamento della Germania dopo due guerre mondiali. Ma così non è stato per i leader palestinesi, che appoggiarono la decisione della Lega Araba del 1967 di respingere ogni apertura nei confronti di Israele, continuando le ostilità (i famosi "tre no di Khartoum, NdT). Naturale conseguenza di questo atteggiamento: il terrorismo, che avrebbe insanguinato l'area per i due decenni successivi, nella convinzione che Israele avrebbe potuto essere sconfitto ammazzando civili innocenti, e spostando l'opinione pubblica a proprio favore.
Così è stato, ma ciò non ha portato ad alcuno stato.
Anche quando l'OLP ha preso il posto della leadership araba come riferimento delle aspirazioni palestinesi, la loro causa non ha compiuto alcun passo in avanti. Astutamente, il leader dell'OLP Yasser Arafat si barcamenò fra leader arabi e movimenti dei paesi non allineati, senza però rinunciare nazionalismo palestinese basato sui principi del respingere tutte le proposte e non fornire alcuna concessione. Arafat si appoggiò sui leader arabi che di volta in volta peroravano la sua causa, combattendo quelli che apparivano relativamente vicini alle posizioni isreaeliane. Ciò ha prodotto per i palestinesi più guai e dolori di tutte le guerre combattute contro Israele. La breve stagione giordana di Arafat coincise con il re Hussein che macellò migliaia di palestinesi per mettere in salvo il suo trono.
L'appoggio di Saddam Hussein costò ad Arafat centinaia di migliaia di morti palestinesi in Kuwait nel 1991 e in Iraq nel 2003. L'unico leader arabo che si impegnò a negoziare un compromesso per i palestinesi fu l'egiziano Anwar Sadat: Arafat si impegnò per auspicarne l'assassinio per punirlo per il suo "crimine". Alla fine, nessuno può fare per la causa palestinese più di quanto possano fare gli stessi palestinesi.
Per un po' di tempo, nella fase successiva agli Accordi di Oslo, l'OLP realizzò che, se davvero voleva conseguire l'obiettivo di uno stato, avrebbe dovuto seriamente negoziare con Israele, anziché appoggiarsi ad altri che gli avrebbero servito lo stato su di un piatto d'argento. Il fatto che gli accordi di pace del 1993 siano stati una opportunità persa, è dovuto in gran misura all'atteggiamento di Arafat di cambiare idea d'improvviso, allontanando il "suo" popolo (Arafat è nato in Egitto, e non ha alcun legame con i palestinesi, NdT) da negoziati diretti, e abbandonandolo fra le braccia di gruppi armati sul terreno, e della comunità internazionale a livello politico.
Nella speranza che la pressione internazionale possa concedergli ciò che il dialogo con Israele tarda a consegnare, Arafat alla fine del 2000 scatena la seconda intifada. Dodici anni dopo, e otto anni dopo la sua morte, i leader palestinesi stanno ancora seguendo questa strada, incapaci di allontanarsi dal sentiero della violenza (Hamas) e aggrappati alla comunità internazionale (Al Fatah) per costringere Israele a concedere ciò che non si ottiene con il negoziato. Il voto con cui l'ONU ha avanzato la condizione dell'OLP a stato osservatore non membro è la continuazione di questa tendenza.
La vittoria diplomatica di Mahmoud Abbas non porterà ad alcuno stato. Non modificherà gli equilibri fra Israele e Autorità Palestinese. Non risolverà la divisione di poteri fra il governo dell'AP nel West Bank, e quello di Hamas a Gaza. E di sicuro non ripristinerà la presenza di Mahmoud Abbas a Gaza. Per non parlare della pace, che adesso si allontana.
Al pari della proclamazione di Arafat di uno stato palestinese nel 1988, il voto dell'assemblea generale dell'ONU è una pagliacciata. La Palestina non è uno stato: il 40% del suo territorio è amministrato da una fazione ostile da anni (Hamas), e la parte restante è contesa con Israele, o amministrata congiuntamente.
Quello che ha prodotto quest'ultimo capitolo degli sforzi palestinesi di ottenere da altri uno stato è stato l'incremento dell'aspetto teatrale della statualità palestinese: tutto l'armamentario di uno stato, ma senza uno stato. Aggiungendo un seggio di osservatore allo stesso livello del Vaticano, questa iniziativa senza dubbio accresce l'ego dei palestinesi, dando loro la possibilità di perseguire Israele alla Corte Penale Internazionale dell'Aja. Ma l'indipendenza rimane un miraggio.

Tutto ciò era perfettamente evitabile. Preferibile rimane l'alternativa di avviare negoziati diretti fra le due parti, con la disponibilità di ricevere e dare. Ma la storia palestinese non presenta precedenti simili. La decisione di Mahmoud Abbas di percorrere la strada che conduce all'ONU è purtroppo l'ultimo capitolo di questa infelice vicenda. L'OLP adesso potrà anche autodefinirsi uno stato. Ma che in effetti possa effettivamente essere tale, questo è decisamente un altro paio di maniche.

* Fonte: Palestine's strangely stubborn state of mind.

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