Fornendo ancora una volta chiara conferma di quel vecchio ma efficace adagio secondo cui «I palestinesi non perdono mai occasione di perdere un'occasione», Mahmoud Abbas - meglio noto con il nome di battaglia di Abu Mazen, sta per silurare definitivamente i pre-negoziati che avrebbero dovuto condurre ad un definitivo processo di pace fra israeliani e palestinesi. In ciò inserendosi nel solco dei suoi predecessori, che esclamarono a Khartoum un rumoroso «No, no e no!» alla proposta israeliana del 1967 di sottoscrivere accordi di pace in cambio della restituzione integrale del West Bank, si ripeterono nel 2000 a Camp David («Preferisco essere ucciso dal proiettile di un israeliano che mi considera un nemico, anziché dal proiettile di un palestinese che mi condanna come un traditore», sospirò l'anziano leader, sacrificando - usando le parole di un Magdi Allam adesso irriconoscibile «l'ideale nazionale dello Stato palestinese alla sua brama di potere personale»), e ribadirono il loro totale disinteresse per la pace nel 2008, quando respinsero una generosissima proposta dell'allora primo ministro di Gerusalemme Olmert, che lasciò sconcertato e trovò spiazzato lo stesso Abu Mazen.
Il quale si è lavato pilatescamente le mani in questi ultimi giorni, fiutando il calare del sipario sullo sterile lavoro diplomatico di John Kerry, appoggiando lo sfogo del suo "capo negoziatore" Saeb Erekat, che ha invitato il capo dell'OLP, dell'ANP e del Fatah ad abbandonare anzitempo il tavolo - scaricando ovviamente le responsabilità sulla controparte israeliana. Parlando alla sezione giovanile del Fatah, il partito che comanda nel West Bank, Abu Mazen ha precisato che un eventuale accordo di pace sarebbe sottoposto ad approvazione popolare mediante referendum: bizzarro slancio democratico, per un despota che non tiene elezioni a Ramallah e dintorni da più di quattro anni (da tanto sono scaduti presidenza e "parlamento"). Un referendum oltretutto esteso ai palestinesi di tutto il mondo: inclusi verosimilmente quelli che nella vicina Siria sono macellati quotidianamente da Assad fra l'indifferenza generale, e che in Libano, Giordania ed Egitto - nonché nella stessa Gaza e territori palestinesi - sono confinati in luridi campi profughi; senza diritti, senza possibilità di lavorare, o di essere elettori passivi ne' tantomeno attivi.
Decisiva risulterebbe la richiesta di Gerusalemme di riconoscimento di Israele come stato degli ebrei. Una pura formalità: come se si negasse che la Francia è lo stato dei francesi, o la Grecia dei greci, o l'Italia degli italiani. Lo stesso Arafat, oltretutto, mostrò più coraggio nel riconoscere la natura ebraica dello stato israeliano, sottoscrivendo gli Accordi di Oslo. Ma perché Abu Mazen si rifiuta di concedere reciprocità al suo omologo israeliano, pronto a riconoscere da subito - è investito del mandato popolare; senza necessità di referendum consultivo e confermativo - e senza remore lo stato palestinese?
Jerry Gordon, su New English Review, fornisce una spiegazione di questo diniego che costerà ancora una volta la prospettiva di una pace fra i due contendenti.
La scorsa settimana osservavo il programma "Faccia a faccia" su Al Jazeera, andato in onda il 28 febbraio; conduttore: Mehdi Hasan. Il tema della puntata era "Hanno i leader palestinesi tradito il proprio popolo?" Il dibattito si incentrava su Saab Erekat, che passato attraverso otto negoziati negli ultimi vent'anni. Il programma ospitava un gruppo di ospiti, fra cui Rosemary Hollis, che insegna politica internazionale alla City University di Londra; Sharif Nashashibi, premiato giornalista palestinese; e Manuel Hassasian, rappresentante diplomatico palestinese nel Regno Unito.
Ad inizio dibattito Hasan ha chiesto ad Erekat perché mai i palestinesi si rifiutino di riconoscere Israele come stato ebraico. Erekat ha riposto argomentando che come abitante di Gerico sa che la sua "gente" discende dagli antichi cananei, vissuti lì da oltre 9000 anni (ma su questo tema leggi qui).
Un post su Elder of Ziyon fa riferimento alle dichiarazioni di Erekat, e rivolgendosi al ministro della Giustizia Tzipi Livni (dotata di delega del premier Netanyahu per le trattative con i palestinesi, NdT), rileva: «Saab Erekat, capo negoziatore palestinese, nel fine settimana ha escluso la possibilità che i palestinesi riconoscano la natura ebraica dello stato israeliano. Alla recente conferenza di Monaco, di fronte a Tzipi Livni, Erekat ha affermato che la richiesta è inaccettabile: "quando mi chiedete questo, mi imponete di modificare la mia narrazione storica", ha ammesso, aggiungendo che i suoi avi sono vissuti nella zona "5500 anni prima che Joshua Bin-Nun sopraggiungesse, bruciando la mia città natale Gerico"».
Elder of Ziyon ha investigato sulle origini della famiglia Erekat: «Erekat è nato ad Abu Dis, vicino Gerusalemme. Ma ho trovato un'intervista ad un altro Erekat - Hussein Mohamed Erekat - nato sempre ad Abu Dis. Si racconta che la sua famiglia è vissuta a nord-ovest della penisola araba. L'articolo in effetti conferma l'esistenza di questo ceppo, uno dei quali si è trasferito nella Palestina. È Saab un membro di questo clan? si direbbe di sì, esaminando la sua pagina Facebook, nella quale si descrive la genealogia della famiglia di provenienza, e il legame con la regione dell'Huwaitat».
Per cui si tratta di una taqiyya, una bugia concessa dalla religione per confondere gli infedeli. Ma Erekat è pronto a cambiare discorso, suggerendo il motivo per cui si rifiuta di riconoscere uno stato ebraico di Israele: «vogliono che cambi la mia narrativa, la mia storia, la mia religione». Forse il vero motivo è proprio quest'ultimo.
Ieri ho partecipato ad una trasmissione radiofonica in compagno del rabbino Jon Hausman, in diretta da Omaha, Nebraska. Ad un certo punto, ho fatto notare le obiezioni palestinesi e musulmane, citando il commento di Erekat trasmesso da Al Jazeera. Hausman ha presentato che la risposta si lega al WAQF, una istituzione religiosa inalienabile, aggiungendo che tutte le terre in passato conquistate dall'Islam sono considerate terre islamiche per sempre. Che siano Gerusalemme piuttosto che l'Andalusia: sono tutte parte del WAQF.
Dal momento che l'Islam considera la Torah ebraica, le parabole cristiane e la Bibbia una distorsione, esso considera Abramo, Isacco, Giacobbe, Mose' e tutti i profeti - Gesù incluso - dei musulmani. Per cui, secondo questa "logica", il legame del popolo ebraico alla Terra di Israele sarebbe da escludersi. Peccato che l'archeologia abbia dimostrato i profondi legami degli ebrei con questa terra, ben 3000 anni prima che l'Islam facesse la sua comparsa sulla Terra.
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