È in dirittura d'arrivo il complesso di misure penalizzanti che l'Europa sta adottando, dietro l'impulso della signora Mogherini - reduce dalle radiose strette di mano con gli esponenti del regime iraniano - nei confronti delle produzioni israeliane. I provvedimenti per ora riguarderanno soltanto le merci prodotte dalle aziende israeliane nei territori contesi del West Bank: sono le aree dove prima operavano le aziende come Sodastream, ora trasferitasi nel deserto del Negev, dopo aver chiuso un efficiente stabilimento che dava occupazione e reddito a 900 famiglie palestinesi.
Jean Asselborn, presidente di turno dell'Unione Europea, si è schermito osservando «dobbiamo assicurarci che i consumatori europei sappiano distiguere i prodotti provenienti dai territori "occupati" (sic!) da Israele. Stiamo soltanto applicando il diritto internazionale».
In effetti l'uomo della strada non si capacita di come, in tempi di crisi economica internazionale e con il genocidio siriano che bussa alle nostre porte, i burocrati di Bruxelles abbiano come massima priorità quella di sanzionare le aziende israeliane che operano in territori (Area C) che per ultimo gli Accordi di Oslo del 1993 - sottoscritto sotto il patrocinio dell'UE - assegnano alla piena giurisdizione civile e militare di Gerusalemme.
Soprattutto, desta scalpore il diverso standard adottato dall'Europa. Mentre nei confronti di Israele la signora Mogherini assurge al ruolo di legislatore, nei confronti del Marocco si adotta un metro assolutamente diverso: non solo non si stigmatizza mai l'occupazione illegale e lo sfruttamento delle risorse del Sahara Occidentale; ma si sottoscrivono addirittura accordi di scambio finalizzati all'importazione di prodotti agricoli e ittici. Davvero in spregio, questa volta, al diritto internazionale, ad una risoluzione ONU, e al comune buon senso.
Osiamo una domanda: l'Europa non avrà mica intenti punitivi nei confronti di Israele, accusato neanche tanto velatamente di non cedere ai ricatti e alle pretese palestinesi?
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