lunedì 28 settembre 2015

Perché gli israeliani sono felici più che mai?


di Ben Caspit*

Le varie classifiche sulla felicità e sull'ottimismo stilate da varie organizzazioni internazionali, incluse le Nazioni Unite, mostrano Israele praticamente sempre in cima. Malgrado lo stato ebraico sia l'unico al mondo la cui stessa esistenza è messa in discussione, essendo l'intera popolazione di continuo minacciata da centinaia se non migliaia di missili e razzi; Israele vanta una plateale vitalità secondo queste stime, scavalcando diversi stati europei e potenze mondiali come Stati Uniti e Russia.
Si tratta di un paradosso ben noto agli studiosi, che fa di questa sottile nazione, circondata da nemici e in costante stato di guerra, un paradiso confinante con l'inferno. Questa combinazione impossibile di volta in volta produce autentici miracoli. Un recente sondaggio sulla qualità di vita condotto dalla pubblicazione InterNations classifica Israele quarto al mondo fra le nazioni ove tirar su famiglia, dietro Austria, Finlandia e Svezia. Israele si colloca ben prima di Regno Unito, Germania, Stati Uniti e altre potenze economiche. Se si interrogasse l'israeliano medio, vi rivelerebbe che teme le minacce al proprio stato, è preoccupato per l'economia, risente delle tensioni costanti; ma ciò non toglie che sia felice. Proprio così.

Family Life Index 2015

Lo Yom Kippur, il giorno dell'espiazione, rappresenta una eccellente opportunità per meditare su questo fenomeno. Il 13 settembre, Rosh Hashana, ha contrassegnato l'inizio del nuovo anno ebraico. Quel giorno due sondaggi, condotti dai quotidiani Maariv e Haaretz, hanno cercato di ispezionare l'animo dell'israeliano. Entrambi hanno rivelato un sorprendente paradosso: nel sondaggio di Maariv, agli intervistati è stato chiesto se e in che misura abbiano percepito cambiamenti nei seguenti campi: patrimonio familiare, sicurezza personale, e capacità dello stato di difendersi. Le risposte hanno fatto registrare un ripiegamento su tutti i fronti: circa il 35% degli intervistati ha ammesso che le proprie finanze si sono deteriorate (soltanto il 26% ha dichiarato che sono migliorate); 1/3 delle persone ritiene che la sicurezza personale si è ridotta (contro il 23% che percepisce un miglioramento); e lo stesso tipo di risposte è stato registrato con riferimento alla sicurezza dei confini nazionali. Ma quando è stato chiesto se in generale si sentono meglio o peggio rispetto ad un anno fa, il 29% si è schierato nel primo campo, e soltanto il 22% sente di aver fatto passi indietro. Quando è stato chiesto come si collocherà Israele fra dieci anni, l'ottimismo ha prevalso di gran lunga. Insomma: le finanze sono stressate, la sicurezza è a rischio, ma la situazione nel complesso è percepita in miglioramento.

Tutto questo è esplicitato nello stesso momento, dalle stesse persone, sulle stesse tematiche, nello stesso posto. Non solo: gli israeliani sono convinti che il futuro arride loro, anche se il resto del Medio Oriente si sta sgretolando con violenza inaudita, le organizzazioni terroristiche si stanno ammassando al confine dell'unico stato democratico dell'area, l'Iran sta ottenendo una licenza internazionale per istituire un nuovo impero persiano che vada da Teheran a Beirut, mentre la campagna di delegittimazione di Israele prosegue a pieno ritmo. Ci sono fondate ragioni perché gli abitanti di questo stato completino una conversazione con l'espressione «tutto andrà bene»: è quello che davvero credono.
L'ottimismo e la vitalità degli israeliani non è riflesso soltanto dai sondaggi. La stampa si sofferma continuamente sulla vivacità dell'economia. Israele è ritenuta una nazione a tecnologia avanzata e i tassi di natalità riflettono questa effervescenza: il numero di bambini che nasce per famiglia - quasi tre, in media, nel 2013 - è il più elevato di tutto il mondo occidentale. Quando si passeggia per Tel Aviv, il numero di bambini, di ragazzini, di giovani madre e di donne incinte colpisce l'attenzione. Israele è una fucina di nuove nascite e non solo grazie all'elevato tasso di fertilità della minoranza ultraortodossa e araba. Anche gli israeliani secolari adorano i bambini, hanno figli e considerano le nascite la missione della loro esistenza e il suo autentico significato. Si guardano intorno, schiudono la bocca e riconoscono: «in che mondo stiamo facendo nascere i nostri bambini?».


Qual è il segreto di questa vitalità? la formula deve essere ancora decifrata; a mio avviso, il disagio esistenziale e le continue minacce che gravano sulla società israeliana, generano scariche di adrenalina che galvanizzano e stimolano gli israeliani. Tutto nello stato ebraico è estremo, esalta i sensi, risveglia gli istinti primordiali, eccita la gente e rende la vita molto più interessante e stimolante rispetto al resto del mondo occidentale; dove le società hanno perduto l'istinto essenziale per la sopravvivenza. I tassi di fertilità sono di gran lunga inferiori a quelli che escludono l'estinzione: per sopravvivere, una società ha bisogno di nascite pari a 2.18 bambini per famiglia; in diversi stati europei il dato è di gran lunga inferiore. Il famoso augurio cinese «Che tu possa vivere in tempi interessanti» è pienamente rispettato in Israele, e finisce per risultare una benedizione: la vita qui è interessante, a tratti affascinante e fa di Israele un luogo piacevole dove trovarsi.

Ci sono altri aspetti che suscitano interesse. Secondo il sondaggio di Haaretz, il 98% dei cittadini arabi israeliani crede in Dio; soltanto il 70% degli ebrei israeliani lo fa. Combinando l'indice della felicità con la sfera religiosa, si perviene ad un'interessante conclusione: più si è spirituali, più si è felici. Fra gli ebrei ultraortodossi, il 78% è felice; il 74% degli ebrei praticanti, il 64% di chi si definisce semplicemente credente, e il 59% degli israeliani laici. A quanto pare essere felici è più facile se si è sostenuti da Dio. Quando si esamina la felicità per religione, si scopre che i drusi sono la popolazione più felice di Israele, con l'86% del totale; fra i cristiani, soltanto il 71% si dichiara felice, i musulmani lo sono per il 68%, e gli ebrei per il 64%.
Fra gli ebrei, il 12% si definisce ortodosso, il 12% praticante, e il 9% semplicemente credente. In altre parole, il 33% è religioso a vario titolo. Il 23% della popolazione si definisce tradizionalista ma non religioso, mentre il 43% si descrive secolare, o laico. La percentuale di laici nella società israeliana continua a ridursi: non è più la maggior parte della popolazione, pur costituendo il gruppo più rilevante. Se si considera anche i tradizionalisti non religiosi, si arriva al 65%: il che spiega perché il 61% degli ebrei dichiara di guidare l'auto o la moto durante lo Shabbat, contrariamente a quanto prescrivono i precetti religiosi.
In questi giorni una larga fetta della popolazione osserva il digiuno in onore della ricorrenza dello Yom Kippur. Sebbene la popolazione non religiosa costituisca il 65% del totale, secondo i sondaggi fra i 2/3 e i 3/4 degli adulti digiunano durante lo Yom Kippur. Questa ricorrenza è diventata ormai qualcosa di più di un evento religioso: per gli israeliani, il digiuno di Yom Kippur è una dichiarazione di appartenenza - ad una religione, ad un popolo, ad una storia. Che differenza con noialtri, che in occasione delle festività ci abbuffiamo senza ritegno. Non sarebbe male, per un giorno, praticare il digiuno...


* Why Israelis are happier than ever
su Al Monitor.

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