La mite, fredda e lontana Islanda continua ancora a far parlare di se' in questi giorni. Come riportato su Facebook giovedì mattina, il Consiglio comunale di Reykjavik ha approvato una mozione che bandisce dal territorio cittadino tutti i prodotti israeliani. Tutti, senza alcuna esclusione: sia quelli realizzati nei Territori Contesi (al di là della "Linea Verde"), sia quelli prodotti a Tel Aviv, o ad Haifa, o a Gerusalemme. L'obiettivo, neanche tanto velato, è quello di fare del remoto stato artico la prima nazione europea "Israel Free". Immediata la condanna e l'indignazione per questo deprecabile atto, che ricorda un passato che si sperava non tornasse più. Giulio Meotti, sulle colonne de Il Foglio, ha suggerito all'establishment islandese - che mette sullo stesso piano Israele, Siria, Iran, Sudan e Corea del Nord - di «apporre anche una stella di Davide sulla merce».
Il gesto apparentemente scomposto ma in realtà ben ponderato della consigliera Björk Vilhelmsdóttir, è stato talmente eclatante da indurre ad una marcia indietro: parziale. Sabato mattina il sindaco della capitale islandese ha precisato che la mozione sarà ritirata; con esclusivo riferimento alle produzioni israeliane realizzate al di qua della Linea Verde. Si apprende che la mozione sarà ripresentata con riferimento alle merci prodotte nei "territori occupati", per adottare l'espressione riportata da Iceland Monitor.
D'ufficio la difesa del ministro degli Esteri di Reykjavik, che ha precisato come il governo nazionale non condivida la scelta della municipalità. Evidentemente il titolare della diplomazia dello stato artico non è a conoscenza del voto espresso dal delegato alle Nazioni Unite a proposito della esposizione della bandiera del mitico stato di Palestina: «gli accordi ad hoc (fra israeliani e palestinesi, NdR) hanno generato soltanto incoerenza e imprevedibilità. Dal momento che i negoziati degli ultimi mesi non hanno prodotto alcun progresso, l'Islanda si esprime a favore del testo». Il portavoce islandese dichiarò nel 2011 al Palazzo di Vetro che il suo stato riconosceva la Palestina come stato indipendente, e ne auspicava il pieno ingresso nel consesso delle nazioni rappresentate all'ONU.
Ferma la condanna di Moshe Kantor, presidente del Congresso Ebraico europeo, il quale rileva come ancora una volta una deprecabile iniziativa di boicottaggio economico si manifesti nei confronti dell'unico stato ebraico al mondo, ignorando gli abusi su minori, i crimini di guerra e la negazione dei basilari diritti umani praticati dagli stati canaglia.
Pinchas Goldschmidt, rabbino capo di Mosca, ironizza sul bando proposto da Reykjavik, evidenziando come i politici che hanno approvato questa misura dovrebbero spegnere i propri PC e cellulari, alimentati quasi tutti da tecnologia israeliana. Più formale la replica di Shurat Hadin, ONG israeliana, che rileva in questa mozione la violazione dei trattati sul libero scambio europei e internazionali, e prevede uno strascico legale che si rivelerebbe molto dannoso per le finanze islandesi; più dei contraccolpi che il ventilato boicottaggio genererebbe per le entrate valutarie, a rischio per le prevedibili misure compensative che gli Stati Uniti potrebbero adottare. Le importazioni di merci israeliane dall'Islanda non superano i 6 milioni di dollari all'anno; l'Export islandese verso gli USA supera i 300 milioni di dollari.
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