I giornali internazionali sono sempre molto ben attenti a raffigurare lo stato isreaeliano e i suoi esponenti sotto una
cattiva luce. Non importano i successi economici conseguiti, che consentono allo stato ebraico di mantenere invariato il suo
merito di credito, e di vedere calare il tasso di disoccupazione (6.1%) a livelli da locomotiva tedesca (ma con un debito
pubblico in rapporto al PIL inferiore e con un saldo di bilancia corrente pari al 3.7% del PIL). E passa in secondo piano la
circostanza secondo cui 6 degli 8 vincitori di premi Nobel finora assegnati siano di nazionalità israeliana o comunque ebrei:
passerebbe il messaggio che rimuove lo stereotipo di israeliani con il pensiero fisso alla guerra e alla "occupazione"; come
se questo fosse il segreto del successo economico, scientifico e tecnologico di un lembo di terra grande quanto la Puglia, e
il cui tenore di vita - di tutti i cittadini: arabi felicemente compresi - è salito del 22% soltanto negli ultimi sette anni:
il PIL pro-capite è passato dai 18200 dollari del 2004 ai 22130 dollari del 2012.
I media, così ossessivamente attenti a cercare qualche elemento che ridicolizzi il piccolo stato ebraico, rendono un mediocre
servizio ai lettori, tacendo su aspetti che sarebbero utili per una piena comprensione degli eventi in Medio Oriente. E così,
come rileva argutamente Ugo Volli su Informazione Corretta, omettono di rendicontare sul recente discorso tenuto dal Primo
Ministro Netanyahu alle Nazioni Unite, che appassionatamente smascherava il cinico bluff del "moderato" Rohani, di cui
l'Occidente si è perdutamente invaghito, incoraggiato dal fallimentare Obama. Per non parlare del discorso tenuto
all'Università Bar Ilan, in cui il capo del governo di Gerusalemme più duraturo dopo Ben Gurion smontava la propaganda
palestinese tanto cara ad una parte dell'Occidente.
No, non è possibile che Israele sia ammirato e apprezzato dal lettore, devono pensare nelle redazioni dei giornali di mezza
Europa. Ci deve essere qualche elemento grottesco da dare in pasto ai lettori, per rimarcare il cliché di uno stato che non
esiste, di una "entità" nemmeno meritevole di essere esplicitamente nominata; ed infatti in questi giorni il Vaticano accenna
alla possibilità di un viaggio del nuovo pontefice in "Terra Santa", che sulle mappe risulta assolutamente sconosciuta.
L'assist per rendere felici gli altrimenti depressi giornali eurarabi è stato offerto dal passaggio di una dichiarazione di
Netanyahu a proposito della repressione iraniana. Non importa che il neopresidente abbia promesso l'abolizione del divieto di
utilizzo di Internet e social network; salvo rimangiarsi immediatamente la parola a microfoni e telecamere spente. Ma va
raccontanta ed enfatizzata la presunta gaffe del capo di governo di Gerusalemme: «Se gli iraniani fossero liberi, potrebbero
indossare jeans e ascoltare musica occidentale», chiosa entusiasta l'emittente Euronews, accennando ad una "campagna contro
Teheran"; come se in Israele non si faccia altro che malignare ossessivamente sui costumi dei giovani iraniani. L'emittente a
capitale misto - con una significativa quota detenuta da Turchia e Russia - al contempo sottolinea con entusiamo la svolta
islamicamente corretta di imporre alle donne l'utilizzo del velo nelle università e nei luoghi pubblici turchi: «cade il
divieto di indossare il velo islamico». Le donne non bramavano altro, sembrerebbe di capire.
Ha ragione, Euronews, ad ironizzare sulla gaffe del PM israeliano: non è assolutamente vero che la gioventù iraniana non
indossi gli occidentalissimi blue jeans. Lo testimoniano queste immagini, che raffigurano scene di vita quotidiana a Teheran
e dintorni: un probabile (ex) oppositore al regime, impiccato mentre manifestava le sue preferenze in tema di abbigliamento,
una esponente dell'Onda Verde del 2009, massacrata dalle forze di sicurezza del regime iraniano, giovani iraniani malmenati
brutalmente dalla polizia di Teheran mentre manifestano il loro "velato" dissenso. Tutti in blue jeans. Netanyahu, questa
volta hai commesso una gaffe!...
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