Può costare caro manifestare opinioni sull'impero finanziario della famiglia Abbas, il cui capostipite Mahmoud, meglio noto al mondo occidentale con suo nome di battaglia "Abu Mazen", amministra i territori dell'autorità nazionale palestinese (ANP) pur essendo il termine decaduto da più di quattro anni. Elezioni presidenziali e legislative non si tengono a Ramallah nel timore fondato di perdere il potere: un anno fa sono state tenute elezioni amministrative, che hanno fatto registrare una pesante disfatta di Fatah, il partito di cui Abu Mazen è presidente (non si fa mancare niente: è presidente anche dell'OLP. Un triplo incarico, insomma).
Tutti questi impegni costano fatica, per cui è ragionevole che il povero Abu Mazen, perlomeno quando non è in giro per il mondo, possa dedicarsi ad accantonare qualche sudato risparmio. E se per motivi umani, quasi umanitari, non riesce in prima persona, ecco che demanda il compito ai due figli Yasser (che fantasia: il "Piersilvio" dei territori palestinesi...) e Tarek. Che negli anni devono aver ammassato una discreta fortuna.
Al punto che un blogger americano, Jonathan Schanzer, ha documentato a partire da giugno 2012 in una serie di articoli su Foreign Policy tutte le fortune messe da parte dalla famiglia Abbas, e le testimonianze di un arricchimento mediante sistematica corruzione tanto sfacciato quanto prolungato. Naturalmente la posizione rivestita consente di accedere a contratti a diversi zeri, e questo spiega il monopolio nella distribuzione di sigarette americane (orrore!!!), la proprietà di un'impresa di engineering operante nei Territori, dove nel 2005 ha costruito un impianto di smaltimento finanziato dal governo americano, la presidenza di una compagnia di assicurazioni, e il possesso di una impresa di costruzioni che beneficia di generosi finanziamenti USA. Abbastanza per stuzzicare la curiosità del coraggioso blogger: quanto denaro dei contribuenti americani finisce nelle tasche della "dinasty di Ramallah"? può negare la famiglia Abbas di aver occultato 100 milioni di dollari di guadagni di provenienza illecita, come sostenuto dall'ex funzionare dell'ANP Mohammed Rashid, a sua volta processato in contumacia da un tribunale palestinese?
Brutta idea, in teoria. Perché i fratelli Abbas hanno citato in giudizio il blogger e Foreign Policy. Ma stando a quanto riporta oggi il Wall Street Journal, dopo un anno di udienze il giudice ha rigettato le accuse di diffamazione, accogliendo la versione della difesa, che si è appellata alla libertà di espressione garantita dal Primo Emendamento. Anche se il ricorrente appartiene alla famiglia Abbas: il padrone dei (territori) palestinesi. Non sappiamo se ciò possa risultare motivo di intimidazione del blogger americano. Ma d'ora in poi dobbiamo stare ben attenti a documentare le malefatte del regime palestinese: potremmo rischiare di essere trascinati in giudizio in un tribunale della ben più disponibile Eurabia.
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