In Siria è ripreso il massacro degli oppositori, con la lista di vittime della repressione di Assad che torni ad allungarsi; in Libia è il caos. In Libano Hezbollah condiziona sempre più sensibilmente il governo, con le forze democratiche capitolate di fronte all'intransigenza degli estremisti sciiti di Hezbollah, partner privilegiato di Damasco. In Egitto la defenestrazione di Morsi avvenuta a luglio non ha placato i Fratelli Musulmani, e scontri fra islamici e militari, e fra simpatizzanti degli uni e degli altri, si susseguono a ritmo quotidiano. L'Iran adotta un politica del doppio binario: da un lato accarezza il pelo dell'Occidente, dall'altro lavora alacremente all'obiettivo della sua bella bomba atomica islamica, e secondo un ex esponente dell'AIEA mancherebbero addirittura soltanto un paio di settimane prima che l'ordigno nucleare sia terminato. A Gaza Hamas è sempre più in crisi, travolta da un lato dal crollo delle entrate (230 milioni di dollari al mese) conseguente alla distruzione dei tunnel illegali che la collegavano all'Egitto, fatti saltare in aria o allagati con liquami fognari dall'esercito del Cairo; dall'altro messa in ombra dal successo apparente di Abu Mazen, che in queste ore sta stringendo le mani sporche di sangue di vittime innocenti dei 26 terroristi palestinesi rilasciati da Gerusalemme, come seconda lacerante "prova di buona volontà" dopo quella di agosto.
È per questo che i vicini ne chiedono il ridimensionamento; se non il completo annichilimento.
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