Un mese fa il governo israeliano ha autorizzato l'incremento di camion (da 100 a 350) che ogni giorno trasportano nella Striscia di Gaza cemento, calcestruzzo, tondini in ferro e altri materiali da costruzione. Questo, nel tentativo di compensare il blocco totale del valico meridionale al confine con l'Egitto, disposto dal governo del Cairo dopo il colpo di stato di inizio luglio. Questo, mentre i "valichi" non ufficiali (tunnel sotterranei) sono fatti detonare o allagati con le acque delle fogne (e pazienza se qualche palestinese ci rimetterà la pelle: tanto non ne parlerà mai nessuno).
La speranza: che questo afflusso di materiali da costruzione servisse ad edificare nuove e più solide case per la popolazione palestinese; già stremata e prostrata dal regime di Hamas.
La realtà: nulla di tutto questo. Le case sono rimaste così com'erano. I cantieri, deserti. Ma allora dove è finito tutto questo cemento?
Nei nuovi tunnel che Hamas ha scavato nel sottosuolo, dalla Striscia fino al territorio israeliano. Nel tentativo di ripetere la "fortunata" operazione di sequestro del caporale Gilad Shalit del 2006. A corto di finanze per la bellicosa ostilità dell'Egitto, che l'ha privato di corposi introiti dal contrabbando illegale e dalla cresta che praticava sulle merci in transito provenienti dall'Egitto; Hamas è pronta a ricorrere a questo comportamento ripugnante. Che non esclude il rapimento di bambini, prelevati con la forza dagli asili delle città meridionali di Israele.
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