Il potere lorora chi non ce l'ha; sentenziava sornione qualcuno. E, in compenso, rafforza chi ce l'ha. In Turchia il partito di Erdogan è al potere ininterrottamente dal 2002, e progressivamente sta abbattendo la laicità dello stato fortemente voluta da Ataturk, dimostrando una crescente intolleranza verso l'opposizione politica, verso la magistratura e verso la libertà di stampa. La crescente islamizzazione della società e dei costumi, la repressione dei movimenti di protesta e il sadico cinismo con cui si sta affrontando la questione curda, dimostrano una intolleranza che colloca Ankara ai vertici delle violazioni internazionali dei diritti umani.
Non da meno è il Venezuela. La popolazione è allo stremo per le misure di politica economica che stanno massacrando i conti dello stato; quelli noti, dal momento che il governo si rifiuta da mesi di rilasciare le stime su crescita e inflazione. L'elezione di Nicolás Maduro, delfino e successore di Chavez, è stata fortemente contestata dall'opposizione, e le proteste di piazza hanno lasciato per terra nove morti e diecine di feriti. I media sono imbavagliati, l'opposizione è zittita e messa in condizione di non disturbare il regime, le forze di polizia sono note per gli abusi ai quali si abbandonano, e Freedom House colloca lo stato al penultimo posto per libertà di stampa nel continente americano, precedendo soltanto Cuba.
Turchia e Venezuela sono due realtà che si distinguono per negazioni dei basilari diritti umani. Eppure fra poche ore saliranno alla ribalta come paladini dei diritti degli "oppressi". Mentre il Segretario Generale Ban Ki Moon esprime tutta la sua sorpresa di fronte ai tunnel del terrore scavati da Hamas al confine fra Gaza ed Israele (l'IDF non deve averli abbattuti tutti, a quanto pare...), al Palazzo di Vetro ci si prepara per l'assemblea generale di domani: i 193 stati membri dell'UNGA sono chiamati giovedì a pronunciarsi sul rinnovo di cinque membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC); e fra i candidati spuntano proprio i nomi di Venezuela e Turchia.
Caracas appare certa della nomina, dal momento che nessun altro stato dell'America Centrale e Latina ne rivendica il seggio. Certa l'assegnazione del seggio all'Angola in rappresentanza dell'Africa e alla Malaysia per l'Asia. L'Occidente è appunto rappresentato da Turchia, Spagna e Nuova Zelanda. Chi vincerà?
Il nuovo Consiglio di Sicurezza che uscirà dalle votazioni domani sera si dovrà pronunciare su temi spinosi: la corsa al Nucleare iraniana, l'avanzata dello Stato Islamico, il genocidio in Siria, che ha ormai mietuto quasi 200.000 vittime; e la perenne questione arabo-israeliana; con Abu Mazen che promette sconvolgenti sorprese.
Noti sono i pessimi rapporti fra Ankara e Gerusalemme, da quando nel 2010 la Mavi Marmara, battente bandiera turca, fu avvicinata da un commando di israeliani mentre cercava di violare il blocco navale al largo delle coste di Gaza. Quanto al Venezuela, altrettanto noto è il rapporto di amicizia di Maduro con la Siria e l'Iran.
I cinque nuovi stati membri dell'UNSC prenderanno possesso del seggio di durata biennale dal 1° gennaio 2015. A quel punto Abu Mazen potrà agevolmente attaccare sul piano diplomatico lo stato ebraico, calpestando gli Accordi di Oslo sottoscritti dall'OLP nel 1993, e imponendo unilateralmente il pieno disimpegno israeliano dal West Bank - casualmente - entro il 2016.
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