di Paula R. Stern*
Lo sono. Vivo in una città situata oltre la "Linea Verde", per essa intendendosi una linea sulla mappa esistita per 19 anni dopo la guerra scatenataci contro da cinque potenze arabe, il cui obiettivo era di distruggere lo stato di Israele ancor prima che nascesse. Non ci sono riusciti: hanno perso. Hanno iniziato a piagnucolare; e il mondo, la Sinistra e gli orbi hanno concluso che meritassero una seconda opportunità: e gliel'hanno concessa.
Nel 1956, quando ci attaccarono nuovamente. E poi ancora nel 1967, quando avviarono una marcia per chiudere lo Stretto di Tiran, mobilitando i loro eserciti verso i nostri confini. E di nuovo nel 1973, quando ci aggredirono in occasione del giorno più sacro del calendario ebraico. Ogni anno, ogni mese e talvolta ogni giorno cercano di replicare ciò in cui non sono riusciti dal 1948 in poi.
Gli obiettivi non sono mai mutati: solo i metodi, e le convinzioni di troppi israeliani, che sono talmente ansiosi di cessare questo conflitto da abbandonarsi al delirio. E così facendo deludono essi stessi, mettono in pericolo l'intero Israele, pensando che tutto questo dipende dagli insediamenti. Non è così: non lo è mai stato dal primo istante successivo alla fine della Guerra dei Sei Giorni, ne' prima e neanche dopo.
Certo, sono un colono. Lo rivendico con orgoglio e lo affermo con onestà. Questa è la differenza che ci separa. Ho scelto di vivere in una bellissima città (Maale Adumin, NdT) che confina con la parte orientale di Gerusalemme. Se mi fossi stabilita cinque chilometri più ad occidente anziché cinque chilometri ad oriente, il mondo non ce l'avrebbe avuta con me, dal momento che, secondo alcuni, l'esistenza di alcune centinaia di persone nate o trasferitesi qui dopo il 1967, è l'unica causa per cui non c'è stata la pace.
A quanto pare, è stato il motivo per cui nel 1964 è stata fondata l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP); che lungimiranti, questi palestinesi: sapevano che il West Bank e Gaza sarebbero stati "occupati" tre anni dopo.
Se dovessi dire, da ebrea, che non sono ben compresa da buona parte del mondo; posso anche affermare che, da colono, sono un interrogativo anche per molta della mia gente: anche per non pochi israeliani. Lo stesso giorno in cui arrivai in Israele, oltre 21 anni fa, diventai un colono: appena lasciato l'aeroporto, mi trasferii in un bellissimo villaggio tre chilometri ad est della mitica linea che ha cessato di esistere oltre 45 anni fa.
Nei primi otto anni ho vissuto in un piccolo villaggio arroccato su un versante di una grossa collina, lungo il letto di un fiume prosciugato. C'era un country club con una grossa piscina per adulti, e una piscina più piccola per i bambini. C'erano tre sinagoghe, un emporio, una pizzeria, una libreria, e per un po' di tempo anche un barbiere. Quando le bombe esplodevano a Tel Aviv, il mio villaggio era tranquillo e in pace.
Quando arrivai in Israele nel 1993, Yitzchak Rabin era al governo: parliamo di pochi mesi dopo la sottoscrizione degli Accordi di Oslo. Dopo la prima Intifada e prima della seconda. Dopo la I Guerra del Golfo, e prima della seconda. Dopo la prima Guerra del Libano, e prima della seconda.
Ma, cosa più importante, era prima che fosse dichiarata dal governo la guerra ai coloni, prima che fossero adottate misure unilaterali. Prima che la Sinistra che proclama di essere sempre nel giusto invadesse Internet per dividere Israele e difendere i "poveri palestinesi", i loro razzi, le bombe e i coltelli.
Parte della marcia verso la pace di Rabin era basata sul capeggiare un movimento contro i coloni. Per alcuni si è trattato di una guerra santa, mossa da intolleranza come per i Crociati, l'Inquisizione e la Jihad.
Se Rabin ha fallito nel conseguire la pace nel corso della sua esistenza, come è successo, perlomeno è riuscito nella sua battaglia contro i coloni. Ai suoi occhi, eravamo la radice di tutti i mali.
«Ci intimidiscono e molestano», diceva Rabin dei coloni. «Si lamentano sempre, e alcuni di essi non hanno nemmeno prestato il servizio militare»: una delle peggiori ingiurie che si possano ascoltare per un israeliano; una affermazione che Rabin ripeteva spesso, anche se falsa. Non di rado ci definiva «parassiti», e ricordo come si vantasse di non importarsene minimamente dei coloni.
Gli sforzi per conseguire la pace sono ascritti ad uno dei grandi successi di Rabin. E sebbene abbia gestito la firma degli accordi di pace con la Giordania, penso che la sua più grande impresa sia stata quella di dividere il popolo israeliano, consentendo al mondo di pensare che non siamo tutti fratelli; bensì, israeliani, e coloni.
Per colpa di Rabin, la CNN più tardi avrebbe giustificato l'omicidio di donne e bambini, in quanto coloni. «Due coloni sono stati uccisi», riportava la CNN; non una mamma e un bambino di 13 anni. Di quali peccati si sarebbero macchiati, al di là dell'attendere un autobus o viaggiare in auto?
Eravamo qui quando scoppiò la Seconda Intifada, quando le bombe esplodevano con regolarità a Tel Aviv, a Gerusalemme, ad Haifa, a Netanya; e gli insediamenti come quello in cui vivo erano silenziosi e pacifici.
Con quanta celerità i media hanno indicato come "coloni" i tre ragazzi sequestrati questa estate... quando nella realtà, soltanto uno di essi viveva al di là di questa idiota Linea Verde. E che differenza farebbe? Ma il mondo mi indica ed etichetta come colono. E cosa vuol dire? molti di noi non hanno una spiegazione, molti blogger e organi di informazione non hanno una risposta. Ed ecco perché descrivo tutti i giorni la mia vita di colono.
Come tutti, mi sveglio la mattina e mando i miei figli a scuola. Vivo in una città bellissima, piena di alberi e fiori. I miei figli sono cresciuti e alcuni si sono sposati, e ora ho anche due splendidi nipoti; uno di tre anni, capace di parlare due lingue e di pronunciare due alfabeti. L'altro nipotino ha appena un anno. La gente è capace di etichettare questi angeli «ostacoli alla pace».
Ma quale pace? nessuna pace, ovvio. La guerra esplosa questa estate aveva a che fare con gli insediamenti? ma neanche per sogno! sono stati lanciati missili e razzi contro gli insediamenti? certo!, su insediamenti il cui nome era Tel Aviv, Gerusalemme, Modiin, Sderot, Ashkelon e Ashdod...
Per quanto concerne la ridicola affermazione di Rabin secondo cui i coloni sono parassiti, questo è semplicemente assurdo: i coloni pagano le tasse, e servono nei ranghi più elevati dell'esercito. I loro bambini, i nostri figli e nipoti, spesso e volentieri servono nelle elite delle unità di combattimento.
I miei due figli più grandi hanno servito, entrambi in unità di combattimento. Due miei nipoti hanno servito, entrambi in unità di elite. Mio genero ha servito, e i miei due figli più giovani andranno sotto le armi fra due mesi. Sono tutti coloni, e tutti serviranno la patria. Noi non siamo parassiti. Due miei figli sono volontari nel Magen David Adom (la Croce Rossa israeliana, NdT); uno sta seguendo un corso per diventare autista di ambulanza e l'altro è volontario a Gerusalemme e Maale Adumin. Mio marito fa il volontario presso il dipartimento di polizia. Parassiti? no, la mia famiglia.
Siamo ostacoli alla pace non più di quanto lo sia chi abita a Tel Aviv o Haifa, o ad Ashkelon o Ashdod che i palestinesi attaccano regolarmente. La mia figlia più piccola è nata come colona: è così dolce, così graziosa. Non ha mai fatto del male a nessuno, non fa altro che correre e giocare, ridere e allietare la sua famiglia. Un "ostacolo alla pace"? ridicolo, come può un bambino ostacolare qualcosa?
Malgrado decenni di attacchi, di tentativi di concordare un pace, di azioni unilaterali grottesche che hanno soltanto peggiorato la situazione, non siamo più vicini alla pace oggi, di quanto lo siamo stati nel 1966, prima della cosiddetta "occupazione", prima di Oslo, prima di evacuare Gush Katif, lo Shomrom settentrionale e Migron.
Non siamo ancora compresi. Restiamo "coloni". È un modo per respingerci, per isolarci, per renderci diversi dagli altri. Una volta ebbi una discussione con il dirigente di una azienda per la quale lavoravo da quattro anni. Sapeva dove vivessi, e io sapevo dove lui viveva.
Si riferiva a "loro", al che gli chiesi a chi si riferisse. Rispose: a quelli che vivono a Beit Haggai, Ofra, e Otniel. «Non certo a te», mi rassicurò; «non ho niente in comune con essi».
«Ma io sono una di essi», replicai. «Sono esattamente come essi, e tu hai tutto in comune con essi, e con me. Parliamo la stessa lingua, vantiamo la stessa cultura, la stessa religione, la stessa cittadinanza. Abbiamo in comune un passato, e un futuro. Io sono una di essi, ed essi sono parte di me».
Quando si vedrà la verità? non sono i coloni a sabotare il processo di pace; non sono i coloni che trascinano il paese verso la guerra e la divisione, verso le debolezze e i pericoli. Un colone è un israeliano come tutti gli altri.
* I. Am. A. Settler.
sul blog di Times of Israel.
Immagini tratte dall'articolo "Facce da coloni", pubblicato sul Borghesino del 30 settembre 2013.
Nessun commento:
Posta un commento