Fra tre giorni in Israele la parola tornerà agli elettori. La Knesset è stata sciolta prima della sua scadenza naturale, e la coalizione di governo, guidata da Bibi Netanyahu, rischia di non essere rinnovata per un ulteriore mandato. Allo schieramento guidato dal Likud, artefice di un boom economico, si riconosce di aver garantito una maggiore sicurezza rispetto ai governi di sinistra, ma si rimproverà una disattenzione nel promuovere la redistribuzione delle risorse generate dalla tumultuosa espansione economica degli ultimi anni.
Una consistente fetta dell'elettorato risulta così attirata dai richiami della coalizione di centrosinistra capeggiata da Herzog e da Tzipi Livni: la cui piattaforma elettorale non demonizza Hamas, malgrado gli attacchi subiti dallo stato ebraico la scorsa estate. Insomma, in nome di una maggiore "equità sociale", non pochi elettori in Israele sarebbero disposti a sottoscrivere patti con il diavolo; anche se ciò si tradurrebbe in una minore sicurezza; e potenzialmente in un rischio esistenziale. Ma cosa ne pensa Hamas?
Le Nazioni Unite hanno testato la scorsa settimana la reale volontà dell'organizzazione terrostica che governa la Striscia di Gaza, di giungere ad una pace se non permanente, quantomeno duratura; e hanno proposto - verosimilmente, con il consenso di Gerusalemme - una tregua delle ostilità di cinque anni, in cambio della disponibilità di Israele a costruire nella Striscia un porto e un aeroporto, del raddoppio della fornitura di acqua, e di un ulteriore allentamento delle restrizioni nel transito di beni e persone attraverso i valichi di frontiera. Hamas, per bocca di un suo portavoce, ha respinto al mittente la proposta.
Sconcerto e malcelata irritazione da parte dell'Unione Europea, che di recente ha lodato gli sforzi israeliani nel favorire il processo di ricostruzione della Striscia, dopo le ostilità dello scorso anno. Un funzionario di Bruxelles, che preferisce rimanere anonimo, così commenta: «gli israeliani stanno rimuovendo gli ostacoli e cooperando nella ricostruzione. Ma nel frattempo, la ricostruzione è in stallo a causa delle lotte intestine da parte palestinese, del comportamento dell'Egitto e della riluttanza da parte degli stati arabi ad erogare gli stanziamenti promessi».
Cinicamente, dovremmo osservare che questa non è una cattiva notizia, se si considera l'impiego effettuato di parte dei 5 miliardi di dollari promessi dai donatori internazionali alla recente Conferenza del Cairo sulla ricostruzione della Striscia di Gaza. Hamas sta impiegando i materiali da costruzione che ora affluiscono copiosi e il denaro donato, per ricostruire e rafforzare la rete di tunnel che collegano l'enclave palestinese ad Israele. Pochi giorni fa sono stati arrestati due imprenditori israeliani e un residente a Gaza; gravissima l'accusa: avrebbero costituito un'organizzazione a delinquere, finalizzata alla fornitura di contrabbando di metalli, materiale elettrico e equipaggiamento necessari per ripristinare le gallerie del terrore.
Si tratta di una delle tante prove della volontà di Hamas di dotarsi quanto prima delle infrastrutture con cui sferrerà un nuovo attacco nel prossimo di futuro. Residenti nella Striscia testimoniano la febbrile attività cantieristica a nord e a sud di Gaza, nei pressi del confine con Israele, ove sono impiegati consistenti maestranze e diecine di mezzi pesanti. Non vi è traccia però dell'innalzamento di edifici per civile abitazione o per pubblici uffici: l'edificazione avviene perlopiù nel sottosuolo, e i cantieri sono off-limits.
Hamas sta cogliendo l'opportunità venutasi a creare con la (peraltro, giusta) enfatizzazione della minaccia nucleare iraniana, salita alla ribalta con la recente campagna elettorale, per ripristinare il suo potenziale offensivo. Il prossimo governo di Gerusalemme dovrà ben presto affrontare una minaccia ben più grave della redistribuzione del reddito. Non passeranno molti mesi prima della prossima guerra di Gaza. L'Iran sentitamente ringrazierà, potendo agire indisturbato ancora per parecchio tempo.
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