mercoledì 3 giugno 2015

Quel giorno in cui il Muro Occidentale fu liberato


Ricorre il 48° anniversario della liberazione di Gerusalemme Est, occupata illegalmente dall'esercito giordano nel 1948, e ricollegata alla capitale israeliana con la Guerra dei Sei Giorni del 1967.
Quella che segue è la testimonianza del capitano Yoram Zamosh, comandante di compagnia nel 71° Battaglione Paracadutisti di Israele, resa con l'intervista raccolta nel libro ""The Lion's Gate: On the Front Lines of the Six Day War".
Il 7 giugno 1967, terzo giorno del conflitto, Zamosh combatte una battaglia che avrebbe ridisegnato il Medio Oriente dei tempi moderni. Dopo tre giorni di combattimenti a Gerusalemme Est e Ovest, Zamosh è fra i primi soldati a raggiungere il Muro Occidentale: ciò che resta del Secondo Tempio di Gerusalemme.
La sua testimonianza fa luce sul sentimento che lega molti israeliani alla loro antica capitale, si sofferma sul concetto di "confini del 1967", rivendicati dal futuro stato palestinese, e discute delle modalità con cui si potrà conseguire una pace definitiva, se e quando finalmente arriverà.

Quando noi della "Compagnia A" attraversammo la Porta del Leon la mattina del 7 giugno, l'obiettivo principale era quello di raggiungere il Muro Occidentale, malgrado il fuoco incessante e il pericolo dei cecchini nemici. Nel frattempo ci raggiunse Moshe Stempel, mio caro amico e vicecomandante della brigata.
Insieme avevamo ripulito il Monte del Tempio, e avevamo attraversato la Porta dei Marocchini. Eravamo a pochi passi dal Muro, ma non ne avevamo ancora acquisito il possesso.
Stempel mi ordinò di inviare laggiù uno dei miei uomini, mentre gli altri lo avrebbero seguito sopra, alla ricerca di un punto sul Muro ove issare la bandiera che custodivamo scrupolosamente da giorni.
Scelsi un giovane sergente, dal nome di Dov Gruner.
Una volta un giornalista chiese a Moshe Stempel: «perché hai scelto Dov Gruner come primo a dirigersi al Muro?»

Moshe Stempel fu ucciso l'anno dopo, nella Valle del Giordano, mentre era sulle tracce di terroristi palestinesi che avevano penetrato il confine. Stempel fu raggiunto dal primo scambio di fuoco, ma continuò a dirigere la ricerca, sotto il fuoco nemico, fino a quando perse la vita.
Anni prima, nel 1955, fu insignito della Itur HaOz ("medaglia di coraggio"; decorazione militare israeliana, NdT) per il valore dimostrato in un'operazione condotta nei pressi di Khan Younis durante la quale, analogamente all'episodio successivo in cui rimase ucciso, rimase ferito ma continuò a combattere fino al compimento della missione.
Stempel ha costruito la nostra brigata. L'ha tirata su e l'ha messa insieme da solo. Aveva il torace di un toro e polsi grossi quanto le braccia di una persona normale.
Quando issò la bandiera di Israele sul grigliato sul Muro, il nostro gruppetto si fermò e intonò l'inno nazionale. Un fotografo, Eli Landau, immortalò il momento con la sua macchina. Stempel mi posizionò fra egli e l'obiettivo: nascose il suo volto in modo che nessuna ripresa avesse potuto documentare le sue lacrime.

Stempel mi prese il braccio con una morsa d'acciaio. Due volte cercò di intonare un discorso, e due volte si interruppe. Mi trascinò così vicino ad egli che i nostri elmetti si toccarono. «Zamosh!», esclamò, con un'emozione tale che ancora oggi risento le sue parole, anche se stiamo parlando di quasi cinquant'anni fa. «Zamosh, se il mio bisnonno, o chiunque della mia famiglia periti nei pogrom e nei campi di concentramento... se avessero saputo anche soltanto per un secondo, che io, il loro pronipote, mi sarei trovato qui, in questo momento, in questo posto, con gli stivali dei paracadutisti di Israele... se mai l'avessero concepito, Zamosh, per soltanto un istante; avrebbero accettato la morte mille volte senza fiatare».
Stempel mi strinse il braccio come se avessi mai avuto l'intenzione di divincolarmi: «non lasceremo mai, mai e poi mai questo posto», esclamò. «Non vi rinunceremo mai».

Fonte: Business Insider.

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