venerdì 24 febbraio 2017

Il mondo accademico strizza l'occhio ad Israele (ma l'Italia si astiene)

Dal 2000 la spesa in R&D si attesta in Israele a non meno del 4% del prodotto interno lordo
L'impegno israeliano per l'istruzione, la ricerca post-universitaria, l'innovazione e lo sviluppo, sono noti in tutto il mondo, e tutto il mondo beneficia della ricerca applicata prodotto nel piccolo stato ebraico. L'ecosistema realizzato in questo lembo di Medio Oriente fa sì che qui si registri la maggior concentrazione di società tecnologiche al mondo, dietro la Silicon Valley americana. La società di ricerca e consulenza KPMG calcola in nove le società israeliane inclusa nel ranking delle 100 FinTech più promettenti al mondo; erano otto nel 2015.
In termini omogenei di "parità dei poteri d'acquisto", Israele impiega in ricerca e sviluppo il 4.1% del PIL; è il secondo stato al mondo, dietro alla Corea del Sud (4.3% del PIL) e davanti a Giappone, Singapore, Finlandia, Svezia e Danimarca. L'Italia, in questo classifica cruciale per la crescita economica di lungo periodo, si attesta 28esimo posto. Come è stato ampiamente dimostrato, un impegno costante su questo fronte garantisce opportunità di impiego qualificato alla popolazione, e crescita economica e benessere generalizzati.

Questa lunga premessa per sottolineare, qualora ce ne fosse il bisogno, l'estrema importanza di rapporti di scambio culturale e accademico bilaterali; e quanto invece risultino nocive le rocambolesche iniziative di boicottaggio promosse da alcune associazioni antiisraeliane. Se ne stanno accorgendo sempre più le università, i cui vertici si dissociano sempre più risolutamente da queste iniziative scellerate: è il caso ad esempio della University College London, la seconda università britannica questa settimana a prendere le distanze dall'iniziativa ostile etichettata come "Israel Apartheid Week". L'evento avrebbe dovuto tenersi la prossima settimana, nell'ambito di una serie di eventi ostili organizzati dalla "Palestine Society"; ma il rettorato ha ieri chiarito che non sarà fornita alcuna autorizzazione. Trionfo per gli studenti, sconfitta per gli odiatori di Israele.
Il Technion di Haifa
Che hanno potuto però consolarsi con il gesto masochistico prodotto da una ricercatrice precaria torinese, che dopo il dottorato ha rifiutato la proposta di continuare a studiare le energie rinnovabili in Israele: il progetto prevedeva la collaborazione con un ateneo di Tel Aviv finito nel mirino dei filopalestinesi. È la stessa ricercatrice ad ammetterlo, sconsolata: «ho rifiutato l'offerta perdendo di conseguenza il lavoro e, con ogni probabilità, qualsiasi velleità di carriera accademica in Italia». Auguri: da parte nostra, e degli iscritti al "Collettivo studenti contro il Technion", che lodano l'iniziativa della giovane disoccupata.
Il paradosso sta nel fatto che mentre giovani italiani dotati di potenzialità si negano un futuro radioso, respingendo la proposta di collaborazione con prestigiose università straniere, in nome di una ideologia becera e corrotta; le università italiane aprono le porte agli studenti provenienti dal bacino mediterraneo. Ha fatto notizia il provvedimento adottato dal consiglio di amministrazione del Politecnico di Bari, che assicura gratuità assoluta del test di ammissione e del primo anno di studi presso le facoltà di Architettura e Ingegneria. Presto ricercatori italiani disoccupati e studenti palestinesi potrebbero ritrovarsi sugli stessi banchi. E ivi rimanervi per tutto il tempo che desidereranno. Il mondo andrà avanti benissimo senza loro.

2 commenti:

  1. Non c'è da preoccuparsi della sorte di questi giovani aspiranti ricercatori. Ho letto le motivazioni di questa ricercatrice così cariche di luoghi comuni accettati acriticamente e così dogmatiche che mi fanno pensare che di spirito autenticamente scientifico ce ne sia poco. Conosceranno le equazioni ma non sanno cosa sia libertà di pensiero

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