Sconcerto ed irritazione per l'abbondanza di generi alimentari, beni di prima e seconda necessità, e insomma tutto ciò che popola gli scaffali di un comune supermercato, in quel di Gaza. Una terra che nell'immaginario collettivo ancora è associata a miseria, a stenti, ma che da anni conosce un relativo benessere. E le foto dei centri commerciali stracolmi, dei lussuosissimi alberghi, delle auto di grossa cilindrata che solcano le strade, e delle centinaia di milionari palestinesi stanno lì a testimoniarlo.
Tutto ciò provoca comprensibilmente appunto l'irritazione della militanza filopalestinese, sempre più in difficoltà nel proporre la figura romantica ma lontana dalla realtà del palestinese sofferente per l'"assedio" israeliano; che in effetti c'è, ma si limita al blocco di armi e munizioni al largo delle coste di Gaza. Ciò ovviamente non impedisce ai terroristi di Hamas di armarsi, mediante i rifornimenti che dall'Iran arrivano in Egitto; ma almeno si complica loro la vita, ritardando i nuovi approvvigionamenti.
E' un articolo sconsolato quello che si legge su Al-Monitor a firma di una giovane militante, Rana Baker, 21 anni, collaboratrice di Electronic Intifada, e sufficientemente indottrinata sui "buoni e cattivi" del Medio Oriente. La ragazza descrive con tono sorpreso la disponibilità di prodotti di ogni specie, si sofferma sul padre di famiglia che spinge a fatica un carrello della spesa colmo di beni, ma non può fare a meno di lanciare i suoi strali sulla politica "di apartheid" del governo israeliano, che attraverso la frontiera settentrionale consente l'ingresso di prodotti di alta qualità.
Non si sofferma, la pubblicista, sul fatto che merci potrebbero entrare a Gaza da sud mediante il valico egiziano di Rafah; sorvola sul fatto che le merci da quel versante vengono fatte entrare soltanto clandestinamente, onde consentire il lucruso finanziamento illegale di Hamas, che su quelle importazioni sotterranee impone una generosa cresta. E si guarda bene dal pretendere che nella Striscia Israele faccia entrare piuttosto merci di scarsa qualità; magari generi alimentati e farmaci scaduti, come quelli trasportati dalla prima Freedom Flottilla.
L'articolo prosegue tentando di spiegare perché questa realtà di relativo benessere non escluda una persistente "occupazione" israeliana (ma il governo di Gerusalemme ha sgomberato unilateralmente nel 2005, e dopo la dolorosa liberazione del caporale Gilad Shalit non un solo ebreo poggia sul suolo gazano), ma risulta goffo e poco convincente. Quantomeno però registriamo un passo in avanti: le colpe del vicino stato israeliano sono quelle di favorire dai suoi valichi l'ingresso di prodotti di alta qualità. Informazioni realistica ma parziale: nello stato ebraico, a differenza di Gaza, non è ancora venduto l'iPhone di ultima generazione.
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