Orfana di Stanley Fisher, il mitico governatore che dopo tanti anni di servizio ha lasciato l'istituto di emissione di Gerusalemme per prestare servizio presso la Federal Reserve di Janet Yellen; a sorpresa la Banca d'Israele ha tagliato ieri «il tasso d'interesse principale dall'1% allo 0,75%, a causa di dati relativi all'inflazione inferiori alle attese e di una crescita economica fiacca». Questo è lo scarno comunicato di ADN Kronos diffuso ieri.
"Crescita economica fiacca". Ad avercela noi, quella crescita. Dal 2002 al 2011 il PIL del piccolo stato ebraico - la superficie complessiva è analoga a quella di una regione italiana come la Puglia - è più che raddoppiato, passando da 113 a 258 miliardi di dollari correnti. Un boom economico vero e proprio, che fa impallidire anche le performance economiche delle economie emergenti; adesso peraltro visibilmente ingessate.
In termini reali il tasso di crescita del PIL israeliano ha oscillato attorno al 4% annualizzato per tutti gli ultimi tre anni; ed è sceso al +3.3% annuale secondo l'ultima rilevazione del III trimestre 2013. Il reddito pro-capite è passato dai 18500 dollari del 2005 ai 22130 dollari del 2012: una performance unica, fra i paesi industrializzati (Israele è membro dell'OCSE), tenuto conto delle difficoltà in cui si sono imbattute le economie mondiali nell'ultimo decennio.
A cosa è riconducibile il boom economico israeliano? la risposta giunge forte e chiara dall'ultimo seminario Ambrosetti, che ha messo a confronto il tasso medio di crescita reale annuo nel periodo 2000-2011; con la spesa in ricerca e sviluppo nel medesimo arco di tempo, in rapporto al PIL.
Emerge una verità incontestabile, che va recapitata ai nostri responsabili della politica economica.
Sussiste una evidente relazione diretta: non a caso il coefficiente di correlazione si attesta ad un considerevole 70%, in una scala compresa fra -100 e +100 percento. In parole povere: più aumenta la quota di reddito prodotto destinata alla ricerca, e maggiore risulta la crescita economica. Le economie che non investono, sono quelle che sperimentano i più bassi ritmi di crescita: come l'Italia, per l'appunto. Agli antipodi, Israele: che destina quasi il 5% del PIL a Ricerca&Sviluppo, e che (anche) per questo gode di un boom economico che ha distribuito benessere a tutta la sua popolazione.
Sicuramente gli antisimiti diranno che lo sviluppo economico di Israele mira a dominare il mondo, trascurando il fatto che lo Stato Ebraico ha sempre investito nelle ricerche di alto livello, credendo nella pace e nello sviluppo, mai nel terrorismo. I libri di scuola insegnano amore e sana istruzione, mentre gli avversari istruiscono i poropri allievi adolescenti ad indossare il giaccone dei kamikasi.
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