di Michael Curtis*
Una visita al Museo della Scienza e dell'Industria di Chicago suscita alcune riflessioni circa le accuse di crimini di guerra mosse da certi ambienti ad Israele, ritenuto reo di violare le Convenzioni Internazionali di Ginevra del 1929 e del 1949. Il museo ospita l'U Boat 505, di fabbricazione tedesca: il sottomarino che dava la caccia alle imbarcazioni americane e alleate nei mari dell'Africa Occidentale durante la II Guerra Mondiale. L'U Boat fu l'unico sottomarino catturato dalla flotta navale americana: intercettato dall'USS Chatelain nel Giugno 1944, fu rimorchiato verso Bermuda.
L'aspetto rilevante è che la Marina americana catturò non solo l'intero equipaggio, ma sequestrò anche due apparecchiatura Enigma: lo strumento che consentiva di decrittare i messaggi in codice tedeschi. Comprendendo la rilevanza di Enigma, l'ammiraglio Ernest J. King, responsabile delle operazioni navali e Comandante in Capo della flotta americana, emise un ordine che rese segreta la cattura dell'U Boat 505. Egli non voleva che i nazisti comprendessero che il loro sistema di codifica fosse entrato in mano al nemico, rendendo così necessario il suo accantonamento. King sapeva che questa condotta violata la Terza Convenzione di Ginevra, relativa al trattamento dei prigionieri, e stilata il 27 luglio 1929. I suoi ordini comportarono che la Croca Rossa non fu informata della cattura e delle identità dei tedeschi arrestati.
All'articolo 36, la Convenzione recita: «entro e non oltre una settimana dall'arrivo nei campi (di prigionia, NdT), e similmente in caso di malattia, ogni prigioniero deve essere messo in condizione di comunicare con la sua famiglia, la quale deve essere informata della sua cattura e dello stato di salute». Sebbene i prigionieri tedeschi fossero ben trattati, essi erano isolati dal resto dei prigionieri e non erano in grado di comunicare con le rispettive famiglie. Ma il comportamento di King riuscì nell'intento: la marina del Reich informò le famiglie che l'equipaggio dell'U Boat era da considerarsi deceduto. L'ammiraglio King evidentemente violò la Convenzione del 1929, ma lo fece al chiaro scopo di ridurre la minaccia nazista, salvaguardare la sicurezza nazionale e infine vincere la guerra.
L'aspetto essenziale è se il conseguimento di un simile importante risultato giustificasse la violazione. Nel prendere la sua decisione, King non poteva essere in alcun modo accusato di crimini di guerra: la stessa Convenzione del 1929 non indicava come tale la violazione delle sue norme.
Le due convenzioni citate sono molto simili fra esse. Ma a differenza di quella del 1929, la Convenzione sottoscritta a Ginevra il 12 agosto 1949, e riguardante il trattamento dei civili in tempi di guerra, può comportare addebiti di tipo criminale. I critici di Israele sostengono che lo stato ebraico ha violato la IV Convenzione del 1949, ed sarebbe pertanto colpevole di crimini internazionali.
Considerato che gli Stati Uniti non sono mai stati redarguiti per le violazioni dell'ammiraglio King della Convenzione del 1929, ci si interroga sulla fondatezza delle istanze dei nemici di Israele non solo a regarduire Gerusalemme, ma addirittura a chiederne una condanna per presunte violazioni della Convenzione del 1949. Dopotutto, le problematiche sono simili: gli ordini di King erano giustificati dalla suprema esigenza di preservare la vita dei cittadini; le decisioni di Israele nel West Bank afferiscono egualmente a questioni di sicurezza vitale.
Ciononostante diverse risoluzioni, provenienti dalle Nazioni Unite o da varie agenzie onusiane - in particolare dall'Assemblea Generale e dal Consiglio per i Diritti Umani - si sono basate su presunte violazioni di un articolo della Quarta Convenzione di Ginevra del 1949; l'articolo 49(6), che sostiene: «la potenza occupante non deve rimuovere o trasferire parti della sua popolazione civile nel territorio che occupa». Le critiche incessanti che hanno sempre interessato gli insediamenti israeliani dal 1967 sono sempre state basate su questo aspetto legale.
Ma per buona parte le accuse di illiceità o illegittimità degli insediamenti, risultano di stampo politico piuttosto che legale: è il punto di partenza per argomentazioni più estremiste che mirano all'eliminazione dello stato ebraico. Ciò malgrado, è utile discutere della fondatezza delle argomentazioni legali di chi si oppone agli insediamenti.
L'opposizione è infondata sotto diversi punti di vista. La Convenzione del 1949 si preoccupava dello spostamento coatto o del trasferimento di persone per motivi politici, o razziali, o allo scopo di colonizzare un territorio. È evidente che gli insediamenti ebraici, che siano giustificati o privi di utilità, non sono illegali da nessun punto di vista giuridico, dal momento che originano dallo spostamento volontario, tutt'altro che forzato. Non rappresentano uno spostamento coatto di popolazione, ne' sono una manifestazione di colonizzazione. E in alcun modo prevengono o impediscono il diritto dei palestinesti all'autodeterminazione. Le costruzioni non mutano il futuro status delle aree. E ne' rappresentano un ostacolo ai negoziati di pace, malgrado le manifestazioni contrarie della leadership palestinese.
Ci sono due aspetti che smontano le argomentazioni palestinesi e l'impiego da parte dell'ONU della Convenzione di Ginevra del 1949. La prima è che il territorio sul quale si collocano gli insediamenti sono territori contesi: la cui destinazione definitiva risulterà dal completamento dei negoziati fra le parti. Benché le risoluzioni internazionali non accettino questo assunto, le terre disputate non erano riconducibili in precedenza ad alcuno stato sovrano.
Il West Bank infatti non aveva alcuna giurisdizione su questi territori prima del 1967. Era la Giordania ad averli annessi, sebbene ciò non risultasse internazionalmente riconosciuto. Per cui, logicamente, le aree dove risiedono gli insediamenti ebraici possono avere residenti arabi, ma non sono territori "occupati".
Gli ebrei si sono insediati in ossequio al mandato che la Lega delle Nazioni conferì al Regno Unito nel 1922. L'articolo 6 difatti affermava: «l'amministrazione della Palestina faciliterà l'immigrazione ebraica secondo le modalità che si riterranno appropriate, e incoraggerà gli insediamenti ebraici sul territorio, incluso le terre statali non necessarie per la funzione pubblica». Gli ebrei pertanto si sono insediati su queste terre, eccezion fatta per la parentesi giordana del 1948-67, durante la quale vendere terra agli ebrei era punibile con la morte.
Gli insediamenti sono di vario tipo. Alcuni prevedono il ritorno in area dalle quali i residenti furono espulsi dagli arabi: come a Hartuv, fondata nel 1883, Ne'ev Yaakov (1924), Kfar Etzion (1927) ed Hebron, dove gli ebrei hanno risieduto dalla notte dei tempi. La presenza ebraica nell'area smentisce l'argomentazione fantasiosa di alcuni leader palestinesi, secondo cui gli attuali arabi sono discendenti di abitanti indigeni dell'area; e che essi risiedessero a Gerico tremila anni prima di Giosué.
Infine, alcuni insediamenti sono stati istituiti per motivi militari di sicurezza nazionale: qualcosa di molto simile a quanto fatto dagli americani nel 1944 con riferimento alla vicenda dell'U Boat. A parte il fatto che gli insediamenti ebraici non costituiscono in quanto tali alcuna violazione della Convenzione di Ginevra, non è azzardato scorgere un parallelo fra le due circostanze: la decisione dell'ammiraglio King nel 1944 violava la Conferenza del 1929, ma non fu sanzionata perché giustificata da esigenze di sicurezza nazionale. Allo stesso modo, Israele non dovrebbe essere biasimato se agisce per la salvaguardia della sicurezza dei suoi cittadini.
* The Commentator.
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