Ha un sapore vistosamente intimidatorio, diremmo, vagamente mafioso; il messaggio recapitato dal segretario di Stato americano, John Kerry, all'indirizzo di Israele: «il vosto è un bellissimo paese; e sarebbe certamente un peccato se vi accadesse qualcosa di male. E badate bene che non vi sto minacciando. Vi sto solo dicendo che c'è un sacco di gente senza scrupoli là fuori, e sebbene io non sottoscriva appieno le loro minacce, devo confessare che farei fatica ad arrestarne la violenza se non doveste rinunciare a qualcosa di vitale per voi».
È l'inizio di una sciagurata ed improvvida lettera aperta che un frustrato - e anche per questo, pericoloso - John Kerry recapita al governo di Gerusalemme. In essa non si fa riferimento alle pretese irricevibili di Ramallah: dal tentativo di impadronarsi della città vecchia della capitale israeliana, alla pretesa di bombardare demograficamente lo stato sionista; dal rifiuto di riconoscere la natura ebraica di Israele alla pretesa di collocare "truppe internazionali" (non dissimili da quelle che pattugliano senza successo il Libano meridionale) nella valle del Giordano. «Non ci posso fare niente», ammette sconsolato alla fine della missiva. Tutte le belle parole che hanno anticipato questi ennesimi inutili negoziati di pace - il cui esito era prevedibile sin dalla vigilia - sono lettera morta; bugie istituzionali di una figura che le deve sparare grosse, pur di convincere due parti a sedersi attorno ad un tavolo. Salvo rivelare solo più tardi il suo bluff: quando Gerusalemme ha già liberato oltre 100 criminali palestinesi della peggior risma, come tangibile gesto di buona volontà. E mentre la fazione di Abu Mazen denuncia tutta la propria malafede, riallacciando rapporti con Hamas, che a Gaza sta per nominare un vice primo ministro proprio con le bandiere del Fatah, come segno di riconciliazione. E quand'anche scoppiasse la pace fra Abu Mazen e i terroristi della Striscia; chi garantirebbe che essi non perpetrassero a Ramallah un nuovo colpo di stato dopo quello del 2007, assumendo il potere e attaccando un Israele vulnerabile, di cui ancora oggi non si riconosce ne' legittimità, ne' addirittura esistenza?
Certo le parole di Kerry, che si affretta a precisare che non si tratta di estorsione, devono risuonare persuasive a Gerusalemme e dintorni; se persino Lieberman, ministro degli Esteri di Gerusalemme e fino a poco tempo fa considerato "falco" in politica estera, si affretta a dichiararsi disponibile ad essere strappato dalla sua terra (Lieberman risiede a Nokdim, in Giudea), se questo dovesse servire a condurre ad una soluzione definitiva.
Qualcuno deve avergli comunicato che gli Stati Uniti hanno appuntato una 51esima stella sulla propria bandiera...
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