martedì 6 maggio 2014
Barbari ad Auschwitz
D'accordo che la mamma degli stupidi è abitualmente gravida; ma qualcuno dovrà pur provvedere affinché la signora sia dotata di efficaci presidi contraccettivi. Ci risiamo: ancora una volta il museo di Auschwitz è stato vandalizzato da gente che non si sa bene se appartenga alla categoria degli idioti occasionali, o a quella dei sabotatori antisemiti sistematici e patologici. Il Telegraph riportava ieri la denuncia di ripetuti furti di oggetti presenti nel campo profughi che ha testimoniato la morte di oltre un milione di ebrei prima durante la Seconda Guerra Mondiale. Propenderemmo per classificare gli autori nella prima succitata categoria, poiché - nel perfetto stile delle gite scolastiche infantili - non manca chi ha lasciato un ricordo indelebile della sua presenza, scrivendo sui muri e marcando sulle panche su cui le vittime della Shoah hanno dormito, effigi memorabili del tipo "Tizio è stato qui" (che forse male non gli avrebbe fatto). Se non fosse che siamo abituati da tempo a rilevare come una parte della teppaglia nazista e antisemita tenti di banalizzare, ridicolizzare e normalizzare il ricordo dell'Olocausto con questi patetici mezzi.
«Non sempre sono ragazzi», ammonisce Piotr Cywinski, direttore del museo di Auschwitz. «Talvolta colpiscono i turisti e gli stessi insegnanti», conclude sconsolato. «Questo non è vandalismo», rincara la dose Antoni Dudek, storico polacco: «sui bus si pratica il vandalismo. Questa è barbarie». Il problema, rileva il Telegraph, è che il campo di prigionia è smisurato: oltre 200 ettari, contenenti 150 installazioni. Pressoché impossibile assicurare il continuo controllo da parte del personale.
Forse, se questi imbecilli conoscessero la tragedia della Shoah, entrerebbero ad Auschwitz in punta di piedi. Ma la speranza che una mente così ottusa da partorire simili sfregi, possa rinsavire e contenere pillole di saggezza, è davvero fioca. Forse severe ed esemplari misure coercitive per un crimine così aberrante sarebbero più appropriate.
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