L'economia israeliana è fra le più vivaci e dinamiche al mondo. Nonostante la costante minaccia proveniente dagli stati confinanti, e pur priva di materie prime, l'eccellenza nella tecnologia e nel settore medico hanno consentito negli ultimi anni una vistosa espansione del prodotto interno lordo e una costante crescita del reddito delle famiglie; 1/5 delle quali sono arabe.
Altri arabi stanno ora beneficiando di questo boom economico (dall'inizio della Grande Recessione Israele è l'unico stato al mondo che ha visto migliorare il proprio merito di credito - rating - ad opera di Standard&Poor's). Le relazioni politiche fra Israele e West Bank sono ancora complicate dalla scarsa volontà da parte palestinese di sedersi al famoso tavolo delle trattative per il mutuo e pacifico riconoscimento. Ma ciò non sta impedendo il fiorire di relazioni commerciali. Certo, i volumi dell'interscambio sono ancora modesti: 4.3 miliardi di dollari nel 2011, in buona misura esportazioni israeliane. Ma la crescita economica dello stato ebraico ha consentito all'economia dell'Autorità Palestinese di aumentare le proprie "esportazioni" del 18%.
E nel frattempo si tengono iniziative bilaterali di scambi culturali, prima ancora che commerciali. Il Jerusalem Post rende nota una recente conferenza tenutasi nel Negev, che ha visto la presenza di uomini di affari sia israeliani che palestinesi. L'incontro è culminato con una competizione - questa volta, amichevole - fra studenti universitari arabi ed ebrei.
Il governo unitario palestinese è ancora lungi dal realizzarsi, malgrado le promesse roboanti di un anno fa. Nel frattempo il governo unitario israeliano viaggia a pieni giri, e partorisce proposte che non si esita a definire clamorose. Ieri il ministro della Difesa Barak ha dichiarato che non è da escludersi la possibilità che Israele si ritiri unilateralmente dai territori contesi, ottenuti dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967. I negoziati fra le parti, auspicati dagli Accordi di Oslo che hanno originato l'Autorità nazionale palestinese tardano a manifestarsi, malgrado i ripetuti inviti in tal senso di Gerusalemme. Israele ha sempre restituito i territori occupati in seguito ai conflitti in cambio di pace: così ha fatto con l'Egitto, a cui restituiì il Sinai, e altrettanto ha fatto con la Giordania. Il disimpegno dal Libano e più avanti quello dalla Striscia di Gaza è stato invece unilaterale, e ha prodotto il terrorismo di Hezbollah a nord e di Hamas a sud. La prospettiva di liberare l'1.5% di territorio palestinese nel West Bank ancora occupato viene salutata con un misto di stupore e approvazione, ma c'è il concreto timore che ciò possa nuocere ancora una volta ai civili.
Nel frattempo, un'altra concreta iniziativa a favore della distensione, sempre purtroppo proveniente da Israele (e dire che ci vorrebbe ben poco dall'altra parte: ma Abu Mazen è impegnato ad usare il pugno di ferro contro i rivali di Hamas e contro la stessa opposizione interna ad Al Fatah...): il governo di Gerusalemme si è impegnato a restituire alle rispettive famiglie i corpi di 91 terroristi palestinesi, rimasti vittima di attentati da essi stessi scagliati nelle città israeliane. Fra questi, ci sono l'attentatore che uccise 18 persone ad una fermata d'autobus a Gerusalemme, l'autore di un attentato simile a Be'er Sheva (16 morti) e l'autore dell'attentato al Café Hillel di Gerusalemme (sei morti). Si spera che la restituzione dei corpi non sia seguita da deplorevoli episodi di celebrazione e di onoranza. Spesso in passato a questi criminali sono state intitolate strade e piazze. Speriamo che si volti pagina.
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