Israele ha fatto decadere l'impegno a non colpire le installazioni nucleari iraniane prima delle elezioni presidenziali in USA previste per il primo martedì di novembre. Lo rivela un rapporto di Debka, secondo il quale i colloqui in corso a Baghdad fra il regime iraniano e i Grandi della Terra hanno accantonato l'obiettivo di cessare la produzione di uranio arricchito in misura superiore al 3.5% - pertanto per finalità puramente belliche - e la cessione del materiale fissile già prodotto all'estero (per una quantità già sufficiente a produrre quattro bombe atomiche presumibilmente già alla fine di quest'anno). Il presidente Obama ha cercato di compensare la disponibilità nei confronti del regime iraniano con la firma ad accordi commerciali fra USA ed Israele, ma la minaccia esistenziale ha irrigidito il ministro della Difesa di Gerusalemme, che invano si è rivolto al segretario di Stato USA affinché sollecitasse un intervento più risoluto del presidente USA.
I colloqui a Baghdad si rivelano così l'ennesima tattica per guadagnare tempo. Le sanzioni economiche sono dure, ma inefficaci nell'arrestare la corsa alla bomba atomica di Teheran. Specie se l'embargo mondiale rivela preoccupanti crepe, come la recente decisione del Giappone, che sta voltando pagina sull'uso dell'energia nucleare, di approvvigionarsi di greggio proprio dalla repubblica islamica iraniana.
Aggiornamento delle 12.00. Secondo Debka i "negoziati" a Baghdad fra Iran e resto del mondo sono arrivati ad un punto morto.
Semplicemente l'Iran vuole la bomba atomica: il mondo chiede di sospendere la produzione di uranio arricchito al 20% (pronti già 100 chili: il necessario per quattro bombe atomiche), e di limitarsi a produrne al 3.5%, quello che si utilizza per fini civili e non bellici. Chiede che l'impianto sotterraneo di Fordo venga smantellato.
L'Iran risponde: NO, NO e NO.
Se ne possono tornare tutti a casa. Con la convizione di aver regalato altro tempo prezioso.
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