mercoledì 9 maggio 2012
Detto fatto
Così vicini, eppure così lontani. Il proposito di formare un governo palestinese unitario appare sempre più irrealizzabile, alla luce dei contrasti sempre più aspri fra l'ANP di stanza a Ramallah, nel West Bank, e Hamas, che "governa" la Striscia di Gaza. A fronte di questa prevedibile paralisi, ha destato meraviglia la decisione clamorosa del primo ministro di Gerusalemme di annullare il proposito di indire elezioni anticipate per il prossimo autunno, preferendo la formazione di un governo allargato al principale partito di opposizione: Kadima. Un governo che di fatto si è già insediato, e che può contare su ben 94 membri della Knesset su 120.
Mentre il neo-vice premier israeliano fissa già un incontro con la responsabile per la politica estera europea per discutere lo scottante tema della bomba atomica iraniana, a Ramallah il capo del governo Salam Fayyad, sempre più in contrasto con il presidente dell'ANP Abu Mazen, riconosce che la spinta propulsiva del movimento è prossima al termine. Contrasti, dissapori, crescente disaffezione da parte di un popolo sempre più contrariato per gli episodi di corruzione dilagante, e provato da un montante autoritariasmo con tanto di arresti e censure. Ma soprattutto... l'ANP è a corto di quattrini.
Fayyad fu risolutamente contrario all'iniziativa velleitaria di Abu Mazen, che in spregio agli Accordi di Oslo - che hanno riversato sulla dirigenza palestinese fiumi di denaro - si presentò al Consiglio di Sicurezza dell'ONU per chiedere un improbabile riconoscimento. E si è rifiutato qualche settimana fa di fare il "postino" del successore dal 2005 di Arafat, allorquando il leader di Al Fatah ha recapitato a Netanyahu una missiva che tentava di sollecitare la ripresa del processo di pace partendo dalle solite inaccettabili pretese. E ancora, pare di capire, non condivide il tentativo di Abu Mazen di provocare il sollevamento popolare, incitando una terza intifada in caso di morte dei detenuti nelle carceri israeliane, da alcune settimane in "sciopero della fame".
La strada del dialogo è rilanciato dal governo unitario israeliano, che può parlare a questo punto a nome della stragrande maggioranza della popolazione, senza subire l'influenza dei partiti di destra che si identificano con il ministro degli Esteri Lieberman. Ma per dialogare occorre essere in due. Con chi si deve discutere? con la fazione integralista di stanza a Gaza (che per inciso conserva ancora il proposito di proseguire la lotta armata fino all'annientamento di Israele)? o con i rivali del West Bank, fra loro divisi come non mai, e la cui leadership è delegittimata da un mandato scaduto da quasi tre anni? (e lo credo bene: se si tenessero elezioni Abu Mazen sarebbe spazzato via...)
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