lunedì 25 giugno 2012

E tanti saluti alla primavera araba

Si muore a Gaza, ma questa non è una notizia. Si muore ovunque. Si muore per mano di Hamas, ma questa è una verità antipatica, che si tenta di rovesciare addossando la responsabilità ad altri, anche quando è palese la responsabilità diretta e indiretta dell'organizzazione terroristica che governa la Striscia dallo sgombero israeliano del 2005. Hamas non importa combustibile perché ciò comporterebbe la rinuncia alla cresta così comoda sul gasolio comprato dall'Egitto di Mubarak a prezzi politici? la morte della bambina attaccata al respiratore artificiale spentosi per mancanza di alimentazione è colpa dello stato israeliano, che pur si era offerto di vendergli il suo, di gasolio?
un bambino salta in aria per colpa dell'esplosivo che portava nel suo zainetto, destinato ad Hamas? è colpa dei vicini israeliani che costringono i terroristi a servirsi di anime innocenti per evitare di essere intercettati prima di scagliare i loro attacchi.
Una bambina di due anni è colpita da un razzo difettoso scagliato da Hamas contro le città meridionali dello stato israeliano? colpa di Gerusalemme, che pratica un attento blocco navale che lascia passare tutto - alimentari, farmaci, materiali da costruzione, tessuti, eccetera - tranne armi e munizioni che pure l'Iran sarebbe ben felice di fornire mediante le navi che adesso attraversano liberamente lo Stretto di Suez.

Così, il morto e i tre feriti vittima dei "festeggiamenti" per l'affermazione di Morsi in Egitto, espressione pallida dei Fratelli Musulmani, saranno presto addebitati ad Israele, che da Gaza ha fatto le valigie nel 2005, rompendo una consuetudine invalsa da sempre: quello di riconsegnare le terre conquistate dopo i conflitti subiti dagli stati confinanti, dopo aver sottoscritto accordi di pace con gli stessi stati. E' stato così con la Giordania, e con lo stesso Egitto: terra in cambio di pace. Nei confronti di Gaza il governo Sharon fornì una generosa apertura di credito: il disimpegno senza alcuna contropartita, per dimostrare la buona volontà di raggiungere una pace. Risultato: serre e coltivazioni trasformate in trincee e piattaforme di lancio, un governo a Gerusalemme spaccato, e un milione di cittadini sotto quotidiana minaccia.
Proprio la presenza del regime fondamentalista islamico a Gaza fa riflettere: Hamas è giunta al potere di fatto "democraticamente", con elezioni tenutesi nel 2006 e che videro l'affermazione della filiale palestinese dei Fratelli Musulmani, assieme ai rivali storici di Al Fatah. L'anno successivo il partito da cui proviene Abu Mazen fu letteralmente cacciato con un sanguinoso colpo di stato, e da allora iniziò una coabitazione a distanza. Si parla ancora oggi di governo unitario, invano.
Ma il punto è: elezioni si tennero a Gaza; elezioni si tennero a Ramallah. Quella parvenza di istituzioni democratiche sono oggi scadute: da un paio d'anni. Non si tengono più elezioni, e chissà quando si terranno nuovamente. Non occorre: è stata fatta la volontà di Allah. La democrazia da queste parti non si misura con la celebrazione di stucchevoli elezioni; si misura con il rinnovo di questa liturgia politica periodica. Se elezioni non si tengono più a Gaza (nel qual caso Hamas dovrebbe cedere fette di potere ai più rivoluzionari gruppetti che iniziano a fare i comodi loro) ne' a Ramallah, dove Abu Mazen teme di essere esautorato proprio dai rivali di Hamas; perché mai fra quattro-cinque anni dovrebbero essere tenute nuovamente in Egitto?
Con tanti saluti alla primavera araba, e ai pochi che ancora la celebrano in Europa.

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