giovedì 28 giugno 2012

Metti Israele e i bambini in un titolo...


...e otterrai il massimo dell'attenzione del lettore. E' una tecnica consolidata: non c'è niente di più remunerativo per un giornale, di un articolo confezionato per diffamare l'intero stato israeliano; non un carcere, o un secondino, particolarmente carogneschi; e nemmeno un intero ministero della Giustizia. No, è Israele che maltratta i detenuti, è Israele che odia i bambini. Come se l'Italia fosse accusata da un quotidiano straniero di seviziare sistematicamente i bambini, dopo il caso (i numerosi casi...) della mamma che ha lasciato il figlio morire all'interno di un'auto parcheggiata al sole cocente a finestrini alzati, prima di recarsi in una sala scommesse.
Un quotidiano britannico ieri ha battuto tutti i record di malafede. Si trattava di puntare il dito contro il presunto trattamento riservato ai terroristi detenuti presso le carceri israeliane, di età inferiore ai 18 anni. Brutale e da togliere il fiato l'immagine: si vedono braccia di bambini dietro massicce sbarre di ferro. Il volto sorridente di uno di essi, sulla destra, non smorza il sentimento di rabbia e frustrazione del lettore. Condanna unanime e inappellabile.
Peccato che quell'immagine non si riferisca ad un carcere, e non sia certo di ieri. Si riferisce alla barriera doganale fra la Striscia di Gaza e Israele, ed è stata scattata oltre due anni fa (h/t: HonestReporting). Ma chi osserva non si interroga sulla fondatezza di una simile strampalata accusa: l'immagine vale più di mille parole, e come è noto soltanto un lettore su cinque prosegue nella lettura dopo aver letto il titolo e osservato l'immagine che lo accompagna. La diffamazione raggiunge il suo effetto, e a nulla servono eventuali precisazioni nel corpo dell'articolo.
Senza contare che i minorenni che si trovano a scontare condanne presso le carceri, sono responsabili spesso di atroci delitti. E' il caso per esempio di uno dei tre responsabili della strage di Itamar, la località dove un'intera famiglia ebrea fu sgozzata nel sonno; inclusa una bambina di appena tre mesi: costoro non solo confessarono l'atroce delitto, ma ammisero che l'avrebbero commesso nuovamente, se ne avessero avuto l'oppportunità. O del ragazzino che colpì con una pietra un'auto a bordo della quale viaggiava un uomo, perito con suo figlio dopo aver perso il controllo del mezzo. Per non parlare dei proclami deliranti che bambini ancora poppanti sono costretti a recitare da genitori entusiasti: promesse di farsi saltare in aria per uccidere quanti più ebrei possibili, rafforzate da cinture esplosive che quasi fanno fatica a reggersi su quei corpicini ancora gracili.
E fino a pochi anni fa, queste missioni spesso erano portate a segno. Ismail Tsabaj, Azi Mostafa, e Yousuf Basam, rispettivamente di 12, 13 e 14 anni, hanno tentato una strage simile a quella dei loro più "fortunati" coetanei ad Itamar, ma furono provvidenzialmente intercettati dalle forze di sicurezza. Simili iniziative non destano mai l'attenzione dei media occidentali, e suscitano di rado la riprovazione dell'opinione pubblica. Strano.
Naturalmente, non pochi media nostrani resistono alla tentazione di una facile rendita. Quasi mai si verifica la fondatezza dell'accusa. Non occorre: Israele - non il governo israeliano; Israele, come stato - è responsabile sempre, e comunque. «Lo sanno tutti». Gli arabi devono essere orgogliosi del lavaggio del cervello svolto in questi decenni.
Il giornalismo scivola sempre più in una profonda crisi di credibilità. Ma fino a quando è ben sovvenzionato, si può permettere il lusso di ingannare il lettore, spacciando la verità che più gli aggrada, anche se palesemente falsa o distorta.

Qualcuno a questo punto, disgustato da tanta disinformazione e da plateali omissioni in malafede, si chiederà indignato: ma l'UNICEF che fa?
bella domanda: quando può, raccoglie fondi per promuovere iniziative di boicottaggio dello stato ebraico, come quella ben raffigurata dall'ascia palestinese - con su inciso l'imperativo "Boicotta!" - che spacca la stella sionista, con tratteggi della bandiera americana (il "piccolo satana" e il "grande satana"). La speranza è rimasta isolata nel vaso di Pandora...
Nota: il manifestino, prodotto dall'organizzazione giovanile palestinese "PYALARA", finanziata dall'UNICEF, si riferisce ad un'iniziativa di due anni fa. Ma al quotidiano vagamente citato all'inizio non dispiacerà: dopotutto, è una pratica consolidata e tollerabile...

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