di Ronn Torossian*
In qualità di fondatore della 5WPR, una agenzia americana di pubbliche relazioni, le mie riflessioni sull'atteggiamento abituale dei media nel deformare l'immagine di Israele costituisce un'aggravante. Ho discusso a lungo della faccenda con alti esponenti del governo israeliano, con i leader della comunità ebraica negli Stati Uniti e con i vertici dei media: e poco negli anni è cambiato. Nello stesso Israele ci sono ben più giornalisti, sia locali che internazionali, che in qualunque altro stato al mondo, e ci sono più giornalisti stranieri in Israele che in qualunque altro stato del Medio Oriente.
A prescindere da chi sia il presidente, o cosa succeda nel mondo, sembra che Israele è sempre lì a fare notizia. Ci sono diversi motivi per cui i media hanno un atteggiamento anti-israeliano, ma questa è la mia personale lista per cui i media sono orientati negativamente.
1) In Israele c'è libertà di stampa, e i giornalisti sono liberi di riportare ciò che vogliono. A differenza di altri stati del Medio Oriente, qui c'è una genuina libertà di stampa: i giornalisti non sono pedinati dalla polizia, non sono torturati ne' intimiditi. Israele vive in un contesto proibitivo, ma ciò non è tenuto in alcun conto: in qualunque posto del mondo, quando i manifestanti lanciano pietri contro la polizia, essi ne rispondono nelle sedi opportune. In Israele, le autorità sono raffigurate come antidemocratiche per esigere che le leggi siano rispettate.
2) I giornalisti se la spassano in Israele. I giornalisti stranieri spesso inviano corrispondenza da "zone di guerra", con una grande prospettiva del "conflitto"; ma a fine giornata, sono in grado di tornare alla vita metropolitana, di godersi un sushi, o di passare una piacevole serata a Tel Aviv. Conseguentemente, c'è uno stridente contrasto fra ciò che riportano e ciò che provano sulla loro pelle. In Israele i giornalisti godono di un'elevata qualità di vita - dall'istruzione alla cultura - e non corrono mai i rischi a cui sono esposti negli stati confinanti (infatti non si vedono molti giornalisti in Libia, in Iran o negli stati a ridosso di Israele). Possono scrivere di "guerra", e poi un'ora dopo gustarsi la vita. E' molto più facile inviare corrispondenze da Israele, che da qualunque altro stato del Medio Oriente.
3) Israele non produce informazioni false e menzognere come fanno abitualmente gli arabi. Un recente filmato che illustrava proteste in atto nel West Bank fornisce una prova evidente: bambini che apparentemente si confrontano duramente con soldati dell'IDF. E' un video che di sicuro cattura l'attenzione (ci sono bambini, armi, e il deserto mediorientale). Non si tratta di una produzione di Hollywood, ma è pur sempre una macchinazione: si scorgono i bambini che cercano di provocare i soldati. Come ha affermato un alto ufficiale dell'esercito di Gerusalemme, i bambini palestinesi sono pagati per confrontarsi con i soldati: «l'esercito è addestrato, e sa che queste proteste sono organizzate per innescare una provocazione, affinché esso possa essere ripreso nell'intento di rispondere con decisione, realizzando così video che sono diffusi in tutto il mondo, a discredito dell'IDF». Dopo la vicenda di Muhammad Al-Dura, di volta in volta queste iniziative risultano sempre meno credibili, ma le immagini restano intriganti e penetranti.
4) I media di tutto il mondo hanno un orientamento progressista; e i progressisti si oppongono ad Israele, visto come una potenza nell'area. Uno studio del 2001 della Kaiser Family Foundation sui media professionali, rivela un rapporto di 42 a 10 fra coloro che si autodefiniscono "progressisti" e coloro che si dichiarano conservatori. Uno studio del 2004 del Pew Research Center indica a 49 a 10 il citato rapporto. Nel 2005 è stata l'University of Connecticut a studiare il comportamento di circa 300 giornalisti, e ha rilevato un rapporto di 28 a 10. Nel 2005, un sondaggio fra 700 giornalisti condotto dall'Annenberg Public Policy Center ha riscontrato un rapporto di 34 a 10. E nel 2007 un nuovo studio del Pew Research Center ha rilevato un rapporto di 4 a 1.
5) Il sistema politico israeliano non è orientato alle buone relazioni con il pubblico. Ci sono alcune agenzie governative che dovrebbero incaricarsi di pubbliche relazioni, tuttavia nessuna di esse è realmente efficace. Per citarne alcune, c'è la divisione PR del Consiglio per la Sicurezza Nazionale, la divisione PR dell'Ufficio del Primo Ministro, del Ministero della Difesa e dell'IDF. Ma non c'è coordinamento, e i contatti internazionali sono scarsi. Tuttavia, quando sono contattati da esponenti dei media stranieri, essi sono risoluti nel fornire dichiarazioni, in un inglese appenna accettabile e con poca attenzione al contesto per fruitori non locali. Ciò danneggia Israele nel resto del mondo.
6) Dal punto di vista culturale, gli israeliani non prestano molta attenzione al marketing e alle pubbliche relazioni. Prendiamo le società israeliane della tecnologia: esse realizzano eccellenti prodotti, ma non sono altrettanto brave nel commercializzarli. Gli israeliani hanno un carattere duro, e credono che la loro causa non è condivisa da altri, e che non valga la pena di impegnarsi a convincere il mondo della minaccia dei loro nemici. Lavorando con oligarchi e industrali degli stati della ex Unione Sovietica, ho trovato un atteggiamento piuttosto imile: dovendo combattere ogni giorno per la loro esistenza, e dovendo contare sull'efficienza dell'esercito, essi non sentono il bisogno di dedicare attenzione a qualcosa di relativamente astratto come i media.
7) Gli israeliani non sono avezzi a spesare il settore delle pubbliche relazioni. Pochi spendono tempo e denaro nell'intrattenere i corrispondenti della stampa. A differenza dei PR arabi che passano le notti all'American Colony Hotel, e non sono preoccupati dal conto che saldano all'albergo, i funzionari del governo israeliano non possono portare in lista spese i conti del ristorante o delle spese di intrattenimento dei giornalisti internazionali, e in quasi tutti i casi pagano di tasca propria la ricarica del cellulare con cui chiamano i corrispondenti.
Un altro governo di un'altra area al di fuori del Medio Oriente è per i PR un cliente. Il portavoce principale si incontra con un reporter amichevole, inviato da un rotocalco o una TV internazionale. Dopo un'intervista di 45 minuti, il giornalista finisce per condividere il punto esposto dal funzionario del governo; finisce per dire: «venga sempre nel mio ufficio, anche quando non succede niente di significativo. Tanto parliamo la stessa lingua, e poi ci invitate sempre a quelle feste così belle. Non potrei mai scrivere male dei miei amici», conclude di solito sorridendo il reporter.
8) Israele non fa utilizzo di professionisti. Una nazione che vanta un economista di rilevanza mondiale come Stanley Fischer per gestire la sua banca centrale, dovrebbe fare impiego di professionisti delle relazion pubbliche per diverse sfide; così come da tempo fanno le nazioni arabe.
9) Israele è troppo calato nel flusso quotidiano di notizie, per accorgerci che è grande quanto il New Jersey (poco più grande della Puglia, NdT). Nell'ultimo dibattito presidenziale negli Stati Uniti, Mitt Romney ha accusato Obama di aver fatto il giro delle scuse ufficiali in tutti gli stati del Medio Oriente, trascurando Israele. Obama ha risposto ricordando che come candidato visitò Israele e la città di confine di Sderot, dove ha «visto famiglie che hanno mostrato come i missili piovuti abbiano sfiorato i letti dove dormono i bambini». Ciò l'ha fatto riflettere: e se fossero stati i suoi figli, in pericolo? è per questo che ha finanziato lo sviluppo dell'Iron Dome.
Israele, e la cittadina di Sderot, sono stati al centro del dibattito presidenziale. Ma alla lunga, non si può contare su una così prolungata attenzione.
10) Dulcis in fundo: molta gente odia gli ebrei, e questa è una realtà che non muta nel tempo. Si assiste ad un disgustoso doppiopesismo nei confronti di Israele, da parte dei giornalisti che costantemente lo attaccano in preda all'odio.
* Fonte: the algemeiner.
Nessun commento:
Posta un commento