Ancora una cocente delusione per i filopalestinesi, sempre più scottati da una realtà ben diversa da quella romanzata da una propaganda sempre più a corto di idee convincenti. Il "governo" di Hamas a Gaza ha sostanzialmente dimezzato le importazioni di frutta dal vicino Israele. Malgrado la sbandierata emergenza umanitaria, a cui giustamente non crede ormai più nessuno, Hamas ha bandito sette diversi tipi di frutto prodotti nel vicino Israele, di cui si vorrebbe colpire l'economia. Per motivi imprecisati sono esclusi dal bando mele e banane.
La decisione avrà però un immediato risultato: riducendo l'offerta sul mercato locale, il prezzo della frutta aumenterà vertiginosamente, sollecitando i contrabbandieri senza scrupoli ad impiegare i mille tunnel illegali che collegano la Striscia all'Egitto, e da cui Hamas ricava 1/4 delle proprie entrate. Qualche cinico fa notare che lo scopo reale è proprio questo: Israele non ha certo bisogno di un'economia ridotta come quella della vicina Striscia di Gaza per collocare la propria produzione agricola; ma Hamas ha bisogno di denaro, e la domanda di generi alimentari della propria popolazione stimolerà la fornitura per canali illegali. Un po' come avviene per il carburante, che qui scarseggia, ma che Hamas rifiuta dal vicino Israele.
Immediate le proteste dei grossisti palestinesi, che considerano il drastico taglio delle importazioni «irresponsabile e irrealistico», e lamentano l'impossibilità di soddisfare la domanda mediante un'autarchia che al momento si limita alla sovrabbondanza di guava, un frutto tropicale qui abbondante.
Da quando il bando è entrato in vigore, il prezzo delle pesche è raddoppiato, e altri frutti hanno conosciuto un simile rincaro.
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