di Robin Shepherd*
Forse l'osservazione più famosa attribuita ad un funzionario israeliano a proposito della indisponibilità palestinese a lavorare ad una pace duratura, risale al 1973, quando l'allora ministro degli Esteri di Gerusalemme affermò: «i palestinesi non perdono mai l'opportunità di perdere una opportunità». Allora come oggi, l'affermazione rasenta l'ovvietà. Avendo respinto il piano di partizione (del mandato britannico palestinese, NdT) delle Nazioni Unite del 29 novembre 1947, che invece fu accettato dagli ebrei, e che avrebbe dato vita a due stati - uno arabo e uno israeliano - i palestinesi hanno confidato nel cacciare gli israeliani attraverso la guerriglia, il terrorismo vero e proprio e le guerre di volta in volta scatenate dagli stati arabi confinanti.
Il negoziatore capo dell'Autorità Palestinese Saeb Erekat l'altro giorno ha fornito dettagli circa una proposta di riconoscimento di uno stato palestinese, da presentare all'assemblea generale dell'ONU alla fine di questo mese, tornando alle linee del 1967 (precedenti la Guerra dei Sei Giorni del 5-10 giugno 1967, NdT). Secondo il Jerusalem Post, egli sostiene che «nessuno parla di cancellare il processo di pace».
Che delusione. Gli israeliani sono giustamente timorosi di tutto ciò che provenga dall'assemblea generale dell'ONU, o da altre istituzioni ad essa affiliate (come l'UNESCO, per esempio, NdT). La convinzione è che esse accettano allegramente le condizioni per negoziati di pace imposte da stati massicciamente rappresentati e che sognano la distruzione di Israele.
In secondo luogo, le linee del 1967 sono indifendibili. E non si tratta nemmeno di confini: si tratta appunto di linee, armistiziali, su cui i soldati degli eserciti opposti si sono ritrovati ad un certo punto della Guerra di Indipendenza del 1948 (scatenata dagli stati arabi confinanti), quando fu accolto l'invito di cessare almeno provvisoriamente le ostilità.
Anche nell'ambito dello scambio di terre che accompagnerebbe nel mondo reale una soluzione in due stati, il concetto che le linee del 1967, anziché confini realmente difendibili, possano rappresentare la piattaforma di un negoziato di pace, è semplicemente ridicolo.
Ma torniamo al punto di partenza. Perché i palestinesi sono così intenti a coinvolgere qualcun'altro nel fissare i termini di un processo di pace in loro vece? dopotutto, Israele sta ripetutamente lanciando inviti al tavolo delle trattative, senza alcuna pre-condizione. Perché questo tavolo è accuratamente evitato dai palestinesi?
A prescindere da quanto sostiene Erekat, i palestinesi comprendono benissimo che gli sforzi di fissare i termini di un negoziato mediante le Nazioni Unite rende le discussioni piuttosto improbabili, se non impossibile. Per cui: cos'hanno in mente?
Tristemente, tutto si riconduce alla vecchia tecnica di respingere sempre, che i palestinesi hanno adottato sin da quando rifiutarono il piano di partizione dell'ONU del 1947. Quando c'è un'opportunità da cogliere, essi sono risoluti nel respingerla. Uno sconcertato Bill Clinton apprese questo comportamento nel 2000, quando al termine di estenuanti trattative di pace che avrebbero portato a due stati i quali avrebbero finalmente vissuto fianco a fianco; Yasser Arafat d'un tratto fece saltare il tavolo e tornò trionfante fra la sua gente. Ancora oggi ci si chiede perché sia stata respinta quella storica opportunità.
* Fonte: The Commentator
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