Peccato che gli eventi degli ultimi diciotto mesi abbiano suggerito diversamente. La cosiddetta "primavera araba" (infelice espressione, visti i risultati) ha visto le piazze affollarsi di gente stanca per il malgoverno, per il malaffare, per la corruzione della classe dirigente locale; e mai sono state bruciate bandiere americane o israeliane. Casomai, il piccolo stato ebraico è stato visto come esempio da seguire di democrazia partecipativa e di benessere diffuso.
Ad una alla volta, le teste dei leader sono rotolate o minacciano di farlo (quanto prima in Siria e in Iran, si spera). I territori palestinesi sono rimasti intoccati da questo vento; ma solo perché i giornalisti europei non si sono mai presi la briga di comprare un biglietto per Ramallah per testimoniare il malcontento. E quando l'hanno fatto, si sono guardati bene dall'inviare le loro corrispondenze ai giornali. Visto anche il trattamento riservato a giornalisti e blogger locali che hanno osato contestare la dirigenza palestinese.
Ma i palestinesi, si sa, sono pazienti fino ad un certo punto. E mentre quelli di Gaza hanno animatamente manifestato contro la brutale uccisione dei loro fratelli, residenti nei campi profughi siriani, per mano del dittatore Assad (al punto da costringere Hamas ad abbandonare in fretta e furia il quartier generale di Damasco); non sono stati da meno i palestinesi del West Bank.
Negli ultimi giorni si sono intensificati i cortei di protesta: a Ramallah, a Nablus, a Betlemme e altrove migliaia di palestinesi hanno riempito le strade, bruciando copertoni e alcuni fantocci che raffiguravano l'attuale primo ministro dell'ANP Salam Fayyad. Le proteste hanno riguardato il rincaro del costo della vita e il congelamento delle retribuzioni ai (tanti) dipendenti pubblici. Il presidente dell'Autorità Palestinese getta acqua sul fuoco: raccomanda alla polizia di mantenere la calma, e proclama l'avvio della primavera araba anche nei territori da egli amministrati (buon pro gli faccia).
L'aspetto suggestivo, a giudicare dalle immagini, è che non si scorga alcuna bandiera israeliana bruciata: sono sventolate vessilli palestinesi, sono stati urlati slogan irripetibili all'indirizzo dei leader locali ma, no, non si direbbe proprio che i palestinesi ce l'abbiano con i vicini israeliani. Il tentativo di screditare lo stato vicino e di legittimare la propria esistenza, da parte dell'embrione malaticcio del futuro (?) stato palestinese, non sta funzionando: i palestinesi sono incazzati proprio con Abu Mazen, con l'OLP, e con un regime che si perpreta da decenni, mentre la gente è sempre più stanca di un conflitto che serve soltanto ad alimentare le satrapie.
H/t: Challah hu Akbar.
mi spiace contraddirti ma nel secondo video si vede chiaramente una bancdiera israeliana data alle fiamme....
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